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sabato 25 luglio 2020

Intervista ad Hans Werner Sinn sul Recovery fund

Il grande economista tedesco Hans Werner Sinn, ormai in pensione, intervistato da Handelsblatt, ci spiega il suo punto di vista sul Recovery fund e la crisi economica post-coronavirus. Da Handelsblatt.de


Professor Sinn, quasi tutti i partecipanti e gli osservatori si sono dichiarati soddisfatti per l'esito del recente vertice UE e per l'accordo raggiunto sul Recovery Fund. Anche Lei?

Sì, lo sono. I Paesi particolarmente colpiti dall'epidemia, come l'Italia, meritano la solidarietà degli altri membri. E alla fine possiamo dire che i partecipanti al vertice UE hanno deciso all'unanimità in favore di un fondo per la ricostruzione. E questo è un bene, perché quando si tratta di decidere su tali trasferimenti, nessuno dovrebbe essere messo in minoranza. Ma mi sarebbe piaciuto ancora di più se ogni Paese avesse potuto decidere da solo quanto era necessario donare ai Paesi bisognosi dell'Unione Europea, come l'Italia ad esempio

Con il passare degli anni sta diventando forse piu' buono? Nel suo libro, ancora una volta si scaglia contro l'idea che gli aiuti per fronteggiare il coronavirus possano essere lo strumento per avviare un'unione di trasferimento nella quale i paesi del Nord diventano corresponsabili per i debiti degli Stati del Mediterraneo.

Trovo che gli aiuti in sé siano ragionevoli e giusti. Sono più preoccupato per i vari aspetti collaterali che invece non erano necessari, come l'emissione di debito comune e il finanziamento di questi debiti tramite la stampante della Banca Centrale Europea (BCE). La condivisione del debito porterà inevitabilmente i partecipanti a indebitarsi piu' di quanto altrimenti non avrebbero mai fatto, perché ritengono che questi debiti alla fine saranno a carico della collettività.

Non c'è un'idea ragionevole dietro l'emissione di debito comune? Grazie alla responsabilità condivisa sul debito, tutti i Paesi dell'UE potranno contrarre dei prestiti ad un tasso d'interesse molto basso per finanziare investimenti che porteranno a una crescita maggiore. Con la ricchezza supplementare generata, i debiti potranno essere ripagati con facilità.

La prego, sappiamo bene che questa è solo una pia illusione. Quella della crescita economica è una bella storia da raccontare in pubblico, ma niente di più. È vero che gli aiuti regionali dell'UE possono ridurre in qualche modo le differenze in termini di tenore di vita. Ma ci sono studi in materia che dimostrano che questi aiuti non migliorano le caratteristiche strutturali dell'economia locale. In ogni caso, i trasferimenti fanno in modo che nei paesi beneficiari si sviluppino artificialmente dei salari superiori rispetto a quelli che normalmente le aziende del settore manifatturiero potrebbero sostenere.


Secondo lei come dovrebbero essere ripagati i debiti fatti durante il periodo del coronavirus?

In nessun caso attraverso la stampante della BCE. La base monetaria, ossia la massa monetaria della banca centrale, era già cresciuta drammaticamente dopo la crisi finanziaria. Al momento ci troviamo in una trappola della liquidità a tasso zero. Il denaro invece di essere speso o prestato viene accumulato. Questo è il motivo per cui negli ultimi dieci anni, dall'inizio dell'eurocrisi, non abbiamo avuto inflazione e anche al momento non ce ne è traccia. Ma le cose un giorno potrebbero cambiare.

In che modo?

Quando l'epidemia sarà finita e l'ottimismo tornerà a diffondersi, potrebbe esserci una ripresa economica globale che spingerà i prezzi al rialzo. Il prezzo del petrolio potrebbe tornare a crescere e innescare una spirale salariale. Qualunque sia il motivo dell'aumento dei prezzi, quando arriverà, la BCE avrà difficoltà a tirare di nuovo le redini. Entro la fine di quest'anno avremo una base monetaria di oltre cinquemila miliardi di euro. Di questi 5 trilioni, almeno 4 sono superflui, perché ai tempi della crisi Lehman, quando le dimensioni dell'economia non erano inferiori ad oggi, era stato sufficiente poco meno di un trilione. Come intendono ritirararli? In pratica non accadrà, perché o si mettono le banche nei guai a causa del crollo del valore dei titoli di stato nei loro bilanci, oppure gli Stati si troveranno in difficoltà finanziarie.

Non solo la BCE, ma anche la Fed americana e la banca centrale giapponese stanno stampando moneta allo stesso modo. In nessuna delle aree economiche però abbiamo avuto inflazione.

Ancora una volta: la politica monetaria in una trappola della liquidità non è inflazionistica. L'inflazione arriva al di fuori della trappola della liquidità.

Quindi, secondo lei, in tutti i paesi in cui le banche centrali seguono un principio simile a quello dell'eurozona, gli Stati Uniti e il Giappone, si trovano in una trappola della liquidità?

Si', esatto.

Ma gli Stati Uniti, prima dello shock causato dal coronavirus, hanno avuto la più grande ripresa degli ultimi decenni, eppure non c'era stata alcuna inflazione di cui preoccuparsi.

Gli Stati Uniti infatti stavano uscendo dalla trappola della liquidità. L'inflazione aveva già ricominciato a salire nei mesi precedenti la crisi del coronavirus. Per questo motivo la Fed recentemente aveva anche cercato di ridurre la massa monetaria. Con il coronavirus, però, gli Stati Uniti si sono trovati di nuovo in una trappola della liquidità.

La trappola della liquidità di solito comporta l'accumulo di denaro. Come si concilia con il fatto che le quotazioni di borsa negli USA si stanno già avvicinando a dei nuovi livelli record?

Anche questo è il risultato di un eccesso di liquidità. Nella trappola della liquidità, i tassi d'interesse e i rendimenti da dividendo sono bassi e i prezzi elevati.

C'è stato davvero qualcosa fra le conseguenze economiche del coronavirus che come economista l'ha sorpresa?

Sì, stiamo assistendo a un nuovo tipo di crisi. Di solito si distingue tra shock della domanda e dell'offerta. La crisi causata dal coronavirus non è né l'una né l'altra.

Che cos'è allora?

Abbiamo a che fare con un divieto e un blocco delle transazioni economiche che non era mai accaduto prima. L'essenza di questa crisi è che lo Stato giustamente ha seguito i consigli degli epidemiologi e ha impedito alle persone di entrare nei negozi e nei ristoranti. Ha anche chiuso le frontiere. La gente voleva consumare e le imprese volevano rifornire i negozi, ma a causa dei divieti di contatto, la domanda e l'offerta non si potevano incontrare. Di conseguanza non aveva alcun senso prendere misure di stimolo lanciando un pacchetto di stimolo. Ora il blocco è finito e l'economia sta ripartendo da sola. Purtroppo, però, in Germania si è formata una mentalità del "Whatever-it-takes", e sulla scia del coronavirus ogni politico cerca di portare avanti il suo progetto politico preferito e spesso costoso.

Al contrario, il suo giudizio nei confronti dei pacchetti di salvataggio per le aziende è sorprendentemente positivo

È giusto salvare le aziende che hanno dei modelli di business validi e che si trovano nei guai solo a causa dell'epidemia.

E lei si fida dello Stato per fare questa distinzione?

No, lo Stato non può farlo e deve quindi accettare di poter salvare anche le aziende che non lo meritano. Nel frattempo, lo stato ha già fatto troppo ed è stato già troppo generoso. Tutto quel denaro sta facendo sì che molte aziende e molte imprese per un po' di tempo si riposino invece di lottare per andarsi a cercare dei nuovi clienti. La "pulizia generata dalla crisi" ipotizzata da Joseph Schumpeter, non sta accadendo

Ritiene che aiutare le aziende ritardi quel cambiamento strutturale che in Germania sarebbe effettivamente necessario?

Anche quello. Ma è difficile trovare il giusto equilibrio tra il "salviamo tutti" e il "non salviamo nessuno".

Herr Sinn, la ringrazio per l'intervista.





lunedì 8 giugno 2020

FAZ - L'Italia ha bisogno di un taglio del debito?

Ristrutturare o non ristrutturare il debito italiano? Friedrich Heinemann dello Zew di Mannheim, dichiara alla FAZ: "quando nel 2022 la fase acuta della crisi sarà terminata, avremo bisogno di una conferenza internazionale sul debito pubblico italiano. E naturalmente, i detentori dei titoli dovranno fare la loro parte e rinunciare in parte ai loro crediti". Anche Hans Werner Sinn è d'accordo nel far pagare il conto della crisi ai detentori dei titoli di stato italiani. Lars Feld, il consigliere del governo tedesco, invece è molto piu' cauto e tende ad escludere un taglio del debito pubblico italiano. Dalla FAZ e dalla Germania arriva l'ennesimo pistolotto sulla ristrutturazione del debito italiano.




(...) La situazione di partenza quindi è piuttosto tetra. La questione ora è la seguente: per risolvere i suoi problemi l'Italia ha davvero bisogno di un taglio del debito?. Ad ogni modo, un passo del genere non deve più essere considerato un tabù, raccomanda Hans-Werner Sinn, ex presidente dell'istituto Ifo di Monaco di Baviera. "Per quanto io sia favorevole ad un generoso aiuto finanziario nei confronti dell'Italia: è inaccettabile che i creditori italiani e stranieri vengano costantemente salvati dai contribuenti europei invece di partecipare essi stessi alle perdite", dice l'economista. Sinn fa riferimento al "Club di Parigi", un circolo informale per la negoziazione internazionale nell'ambito del quale solitamente vengono regolamentate tali cancellazioni del debito. "Ci sono regole collaudate per una ristrutturazione ordinata del debito". Dalla seconda guerra mondiale in poi, sostiene Sinn, ci sono state circa 180 ristrutturazioni di debiti pubblici. "E il mondo non è ancora finito". Anche nell'eurozona, un parziale taglio del debito per l'Italia, non sarebbe affatto una novità. Nel caso della Grecia, infatti, un taglio del debito è già stato effettuato durante la crisi dell'euro del 2012, ed è stato uno dei piu' grandi nella storia della finanza. A questi poi si sono aggiunti i controlli sui movimenti di capitale. "Temo che prima o poi dovremo farne uso anche nel caso dell'Italia, perché i pacchetti di salvataggio non dureranno a lungo", dice Sinn.

E questa è l'opinione anche di Friedrich Heinemann, esperto di finanze pubbliche dell'istituto di ricerca economica ZEW di Mannheim, il quale prevede: "il Fondo per la ricostruzione, alla fine non sarà in grado di risolvere i drammatici problemi finanziari italiani". Il denaro da mobilitare per gli aiuti è enorme - ma non sarà mai abbastanza per l'Italia. Molto più importante per l'Italia, dice, è che la Banca Centrale Europea (BCE) continui a sottoscrivere diligentemente i nuovi titoli di stato che il ministro delle Finanze a Roma contina ad emettere sui mercati. Ma in ultima analisi, saranno i contribuenti europei ad essere responsabili per i crescenti rischi che gravano sul bilancio della BCE.

Come Hans-Werner Sinn, Heinemann ritiene che non ci sia modo di evitare un taglio del debito pubblico italiano. "Il debito è troppo alto, il Paese non può uscirne", dice l'economista dello ZEW. "Quando nel 2022 la crisi acuta sarà terminata, avremo bisogno di una conferenza internazionale sul debito pubblico italiano. E, naturalmente, i detentori di titoli dovranno fare la loro parte e rinunciare a una parte dei loro crediti". Heinemann vuole far pagare il conto anche ai creditori.

Ma ci sono altri esperti che vedono le cose in maniera diversa. "L'Italia non ha bisogno di un taglio del debito", dice Lars Feld. L'economista di Friburgo presiede il Consiglio dei saggi economici, il cui compito è quello di consigliare il governo federale. In Grecia la riduzione del debito all'epoca si era resa inevitabile, ma questo confronto è fuorviante, spiega Feld: "L'Italia ha una consistenza economica completamente diversa. Se il governo italiano affrontasse finalmente con determinazione le riforme necessarie, si potrebbero liberare notevoli forze in termini di crescita economica". Egli conta sul fatto che il paese possa uscire dalla attuale situazione di indebitamento, in quanto la crescita economica sarebbe capace di generare maggiori entrate fiscali.

Un taglio del debito, d'altra parte, probabilmente farebbe piu' male che bene, sottolinea Feld: "Una volta estinti i debiti, diminuirebbe anche la pressione per affrontare le riforme necessarie alla crescita. E questo è l'esatto opposto di ciò di cui l'Italia ha bisogno". La Grecia ne è l'esempio ammonitore: il taglio del debito di otto anni fa ha ridotto solo temporaneamente il rapporto debito/PIL del paese. In assenza di una crescita economica, è tornato ad aumentare molto rapidamente - e ora è addirittura piu' elevato rispetto a prima della cancellazione del debito.

Nel caso dell'Italia, anche Feld considera troppo rischioso un taglio del debito. Il problema principale è che i maggiori creditori dello Stato italiano restano di gran lunga le banche italiane, che nei loro bilanci hanno delle quantità enormi di titoli di stato e crediti verso le istituzioni statali. A metà dello scorso anno le banche italiane erano creditrici nei confronti dello stato italiano per un totale di 690 miliardi di euro. Se questi titoli dovessero essere cancellati nell'ambito di una ristrutturazione del debito pubblico, molte banche finirebbero per trovarsi in difficoltà.

"Avremmo immediatamente una crisi bancaria in Italia, che si estenderebbe ad altri paesi europei a causa degli stretti legami creatisi", dice Feld. Le banche francesi, in particolare, hanno dei crediti elevati nei confronti dell'Italia e subirebbero quindi delle perdite massicce. Ma non si tratta solo delle banche. Anche le assicurazioni, i fondi di investimento e altri importanti investitori sono anch'essi creditori dello Stato italiano e sarebbero quindi colpiti da una ristrutturazione del debito.

Ancora una volta, quello della Grecia è stato un esempio ammonitore: la ristrutturazione del debito del Paese nella primavera del 2012 ha portato il panico sui mercati, in una fase già molto critica. "Guardando indietro, va detto che il taglio ha accelerato l'incendio dell'eurocrisi", lo ammette anche Heinemann dello ZEW, sostenitore di un taglio del debito. Per questo motivo non convocherebbe immediatamente quella "conferenza internazionale sul debito italiano" da lui raccomandata, ma lo farebbe solo nell'anno successivo - e anche in quel caso farebbe gravare sui creditori detentori delle obbligazioni solo una parte dell'onere della ristrutturazione. "Ora, nel bel mezzo della crisi economica, non lo si può fare. I mercati sono troppo fragili per una scelta del genere".

Hans-Werner Sinn non nega il rischio di una crisi finanziaria associata a un taglio del debito, ma ritiene che questo rischio sia il minore fra i due mali. La Francia è abbastanza forte per sostenere le sue banche in caso di emergenza, dice. In definitiva, si tratta di soppesare i rischi - e i politici mancano di lungimiranza in questo senso: "Hanno sempre paura dei rischi di breve termine per i mercati finanziari e in cambio accettano rischi che nel lungo termine sono molto piu' minacciosi", critica il Sinn. "Il salvataggio dei creditori tramite una messa in comune del debito erode gli stati e crea il pericolo di un'enorme guerra debitoria in Europa, che potrebbe far crollare l'UE".

Una cosa però deve essere chiara: anche se non ci fosse una nuova crisi finanziaria in Europa, un taglio del debito pubblico italiano probabilmente non sarebbe comunque gratuito per i contribuenti tedeschi. Perché negli ultimi anni la BCE ha acquistato montagne di titoli di stato italiani, e anche la banca centrale sarebbe inevitabilmente colpita da un taglio del debito. La Germania dovrebbe farsi carico di una parte di queste perdite. "La Bundesbank dovrebbe poi essere ricapitalizzata dallo Stato tedesco", dice Sinn. In casi estremi, questo potrebbe costare fino a 150 miliardi di euro.

Qual è la conclusione? Gli argomenti di entrambe le parti possono essere riassunti approssimativamente così: un taglio del debito per un grande paese come l'Italia sarebbe una ripartenza radicale, dopo dieci anni in cui i contribuenti hanno sostenuto direttamente o indirettamente dei costi molto elevati per i salvataggi nella zona euro. Ma i rischi di questo cambiamento di rotta sarebbero notevoli. E se la riduzione del debito possa essere davvero d'aiuto per l'Italia e gli altri Stati dell'euro, nel lungo periodo non è affatto certo. "Non c'è una via d'uscita facile", dice Hans-Werner Sinn. "Ci siamo davvero impantanati".


sabato 23 maggio 2020

H. W. Sinn: perché la sentenza della Corte di Karlsruhe è giusta

Secondo Hans Werner Sinn la sentenza della Corte di Karlsruhe sugli acquisti di titoli di stato è giusta e soprattutto ribadisce un principio molto importante: l'integrazione europea non deve essere portata avanti né dalla BCE né dalla Corte di giustizia europea, ma dai parlamenti e dai governi nazionali. Poi dà un suggerimento al governo di Berlino: state attenti, perché i francesi vogliono salvare le loro banche e fare l'unione di trasferimento con i soldi dei tedeschi, ma non sono disposti a condividere la loro bomba atomica e il loro esercito. Prima parte del confronto fra i due grandi economisti tedeschi H. W. Sinn e Marcel Fratzscher su Handelsblatt



Le proteste di molti commentatori nei confronti della sentenza della Corte costituzionale tedesca, che accusa la Corte di giustizia europea di essere andata oltre il proprio mandato, ci mostrano che in questo caso i desideri e la realtà del diritto si confondono fra di loro con grande facilità. La gerarchia tra i tribunali non si applica in generale, ma solo in alcune aree.

Esiste chiaramente per le questioni di politica monetaria, ma non in altri ambiti politici, in particolare non per la debordante politica di salvataggio fiscale che la BCE ha perseguito negli ultimi anni tramite la stampa di moneta. Ai sensi dell'articolo 5 del trattato sull'Unione, infatti, la BCE avrebbe dovuto ricevere un'autorizzazione specifica a farlo. Ma non è accaduto.

Non si puo' in alcun modo sostenere che l'UE con le sue istituzioni sia sovrana, come ritiene ad esempio la presidente della Commissione. Dal punto di vista dei trattati, infatti, l'Europa si trova ancora molto distante dalla statalità forse desiderabile che darebbe alla BCE e alla Corte di giustizia europea un livello di potere paragonabile a quello di altri paesi o altre confederazioni del mondo.

Gli stati nazionali in Europa sono ancora i padroni dei trattati e in base a questi trattati, i massimi tribunali di Danimarca e Repubblica Ceca in altre occasioni sono riusciti a dichiarare ultra-vires alcune sentenze della Corte di giustizia europea.

E quando si parla della disputa sugli acquisti dei titoli di stato, bisogna considerare che la Fed non ha mai acquistato i titoli di stato dei singoli stati americani, che invece in Europa sono l'oggetto della discordia. Quando la California, il Minnesota e l'Illinois sono stati sull'orlo della bancarotta, la Fed non è andata in loro soccorso. Al contrario, nell'eurozona la BCE ha consentito alle banche centrali nazionali di acquisire un terzo dei titoli di stato nazionali in circolazione.

Ciò ha salvato i detentori di questi titoli di stato da una perdita patrimoniale e, nonostante l'elevato livello di debito, ha garantito agli Stati dei bassi tassi di interesse che hanno poi portato a un indebitamento molto piu' alto. Nel fare ciò, tuttavia, la BCE non ha sostenuto la politica economica come invece le sarebbe stato permesso, ma l'ha contrastata minando i vari patti fiscali e debitori che erano stati conclusi per contrastare il debito pubblico crescente.

Anche se lo volesse il Bundestag non sarebbe nemmeno in grado di approvare con una maggioranza dei due terzi dei voti un trattato che consenta alla BCE di praticare una politica di salvataggio degli stati che implichi delle perdite prevedibili per i contribuenti dell'eurozona. La Repubblica federale tedesca piuttosto dovrebbe essere prima rifondata e poi bisognerebbe adottare anche una nuova costituzione tramite un referendum. L'UE e la Corte di Giustizia non hanno minimamente i mezzi per poterlo imporre legalmente.

Non sarebbe inoltre di grande aiuto l'avvio da parte dell'UE di una procedura di infrazione nei confronti della Germania, perché il governo tedesco non sarebbe in alcun modo tenuto a pagare una sanzione dell'UE per aver ignorato una sentenza della Corte di giustizia che invece la Corte costituzionale tedesca considera illegale. E naturalmente il caso non potrebbe essere portato davanti alla Corte di giustizia perché sarebbe l'oggetto del procedimento stesso (nemo judex in causa sua). Le conseguenze per la sopravvivenza dell'UE sarebbero devastanti.

La sentenza della Corte costituzionale federale era necessaria per chiarire a tutti i soggetti coinvolti che l'Europa è una comunità legale che non può continuare a svilupparsi attraverso l'ampia giurisprudenza della Corte di giustizia europea e nemmeno tramite le decisioni di un organo tecnocratico come il Consiglio direttivo della BCE, ma solo tramite gli stati nazionali.

Questi stati sovrani dovrebbero pertanto aiutarsi a vicenda e aiutare i paesi che sono stati particolarmente colpiti dalla crisi. Prima di tutto l'Italia, che ha avuto il maggior numero di morti ed è stata la prima ad essere colpita dall'epidemia. Oltre alle misure unilaterali di aiuto, che ciascuno Stato può decidere autonomamente e liberamente, gli Stati dovrebbero aumentare il bilancio dell'UE al fine di garantire un'assistenza speciale ai cittadini di questo paese e ai suoi ospedali.

E se ciò non bastasse, secondo le regole del Club di Parigi, si potrebbe decidere una moratoria sul debito in favore dell'Italia, come nel caso della Grecia, collegata al controllo dei capitali, sopratutto per contenere l'enorme fuga dei capitali dall'Italia verso la Germania e gli Stati Uniti osservabile sin da marzo.

Al di là di ciò, gli stati europei dovrebbero comunque sforzarsi di trovare un accordo per formare un'unione politica che realizzi effettivamente la sovranità desiderata. E questa non dovrebbe avere al primo posto la messa in comune dei portafogli, ma la condivisione degli eserciti europei con tutto ciò che ne consegue. Una semplice unione fiscale bloccherebbe la strada verso l'unione politica, perché mentre alcuni darebbero i soldi, altri invece terrebbero per sé la carta vincente della forza militare.

sabato 11 aprile 2020

H. W. Sinn: con gli eurobonds una valanga di debiti e alla fine avremo solo odio e conflitti

Prosegue sulla stampa tedesca il dibattito sui limiti della solidarietà in Europa. Il grande economista tedesco Hans Werner Sinn, anche se ormai è in pensione e quindi può dire tutto quello che gli passa per la testa, in una recente intervista anticipa alcune delle condizioni che il conservatorismo tedesco potrebbe richiedere agli italiani prima di dare l'ok ad un eventuale piano di salvataggio: patrimoniale, ristrutturazione del debito pubblico  e ripristino dei meccanismi di mercato per i titoli di stato europei. H.W. Sinn intervistato da Focus


(...) Ora si parla dei cosiddetti coronabonds a livello europeo per sostenere l'Italia durante la crisi, fra le altre cose. Si tratterebbe di una condivisione del debito da cui lei ci ha sempre messo in guardia...

Sinn: I Coronabonds prima di tutto non sono a supporto dell'Italia, ma vanno in aiuto delle banche francesi, che detengono un numero particolarmente elevato di titoli di stato italiani. Distruggono il mercato europeo dei capitali perché mettono fuori gioco il meccanismo dei tassi di interesse. E minano il merito di credito tedesco, con il risultato che il nostro vantaggio in termini di tassi di interesse nei confronti degli Stati Uniti diminuisce. Lo si può già vedere chiaramente nel declino degli spread transatlantici. A lungo termine, queste politiche ci porteranno inevitabilmente una valanga di debiti che non lascerà altro che odio e conflitto, come era accaduto con la messa in comune dei debiti da parte di Alexander Hamilton negli Stati Uniti. I fallimenti di massa dei singoli stati negli anni successivi al 1835 sono il risultato diretto della politica di socializzazione del debito da lui iniziata.


Cosa propone allora?

Sinn: per sostenere l'Italia, penso che sarebbe meglio donare dei soldi allo stato italiano, e in particolare dei soldi per i suoi ospedali, in modo che possano acquistare il materiale necessario per le cure in Cina o dove è possibile farlo. Ogni singolo tedesco dovrebbe donare come può, e anche lo stato tedesco, nella sua piena libertà e senza aspettare il coordinamento con gli altri paesi europei, dovrebbe fare un dono generoso ai nostri fratelli italiani.

L'euro sopravviverà a questa crisi?

Sinn: lo spero, ma non al prezzo di una messa in comune dei debiti. Non ne vale la pena.

Un pacchetto di salvataggio qui, un'iniezione finanziaria lì. I governi di tutto il mondo sono già passati alla modalità del "qualunque cosa serva". Il debito sovrano, che è già elevato in tutto il mondo, sta raggiungendo proporzioni esorbitanti. Il nostro sistema economico quanto potrà ancora resistere?

Sinn: Grazie allo Schwarze Null degli ultimi anni, la Germania ha ancora margini di manovra, gli altri no. Ora sta diventando evidente che per disciplinare il debito non servono i divieti, ma lo si può fare solo attraverso il mercato. Se esageri con il  debito, dovrai pagare interessi piu' alti ai creditori. Solo questo meccanismo li riporta alla ragione. Spero che impareremo qualcosa dal tentativo della BCE di minare questa fondamentale legge di mercato. La BCE è responsabile per la creazione di questa valanga di debito. Con questa sua politica di riduzione degli spread, ha minato i patti sul debito stretti dai parlamenti. In questo modo ha violato il suo mandato.

Si attende un taglio del debito prima o poi?

Sinn:  penso che sarebbe meglio se fossero i contribuenti degli altri paesi a rimborsare o a garantire il debito. È proprio così: o in futuro si chiederà ai contribuenti di passare dalla cassa, oppure coloro che hanno speculato dovranno rinunciare a una parte dei loro crediti. La rinuncia a un taglio del debito fatto a spese dei contribuenti sarebbe una dinamite sociale che potrebbe far esplodere l'UE. Dalla seconda guerra mondiale, nel mondo, ci sono stati oltre 180 tagli al debito pubblico. Il mondo non è morto per questo. (...)


domenica 22 marzo 2020

H.W. Sinn - Regaliamo 20 miliardi di euro agli italiani, ma niente unione di trasferimento

H.W. Sinn intervistato da DLF chiede al governo tedesco di mettere sul piatto almeno 20 miliardi di euro da regalare all'Italia in segno di solidarietà, ma si oppone ad ogni forma di unione di trasferimento nascosta, come ad esempio gli acquisti di titoli della BCE o i saldi Target. Sinn intervistato da Deutschlandfunk.de


Zagatta: Herr Sinn, la BCE sta agendo in maniera negligente oppure possiamo dire che in questa crisi è estremamente sensato che la Banca centrale europea spenda 750 miliardi di euro per un programma di acquisto di emergenza delle obbligazioni?

Sinn: Sì, sicuramente si può condividere questa politica. Il problema è che gli investitori stanno fuggendo dall'Italia e dalla Grecia. I prezzi dei titoli di stato scendono e i rendimenti effettivi sui titoli di stato sono nuovamente aumentati, rispettivamente, al 3 e al 4%. Lo si può interpretare come un segnale di allarme; è lo è effettivamente. Ma ovviamente la si può vedere anche in un altro modo: prima che entrassero nell'euro, la Grecia doveva pagare il 25% di interessi e l'Italia il 12%, se si torna al 1995, quando l'euro è stato realmente introdotto.

Va bene, è un segnale di allarme e capisco il senso di  questa politica. In questa fase non voglio essere considerato come un grande critico. Il problema in realtà è che tali misure sostanzialmente dovevano essere preparate senza usare tutta la polvere da sparo a disposizione. Ma ciò non è stato fatto. Negli ultimi anni abbiamo assistito sempre alla stessa politica. Dal 2015 al 2018 abbiamo acquistato un totale di 2.500 miliardi di euro in titoli - noi, cioè la BCE - non solo titoli di Stato, ma titoli. Di questi, 1,9 erano titoli di stato governativi e 200.000 erano titoli emessi da fondi di salvataggio e così via. E' già stato stampato molto denaro per acquistare queste obbligazoni, in quanto il mercato non lo voleva fare perché non si fidavano più dei paesi che emettevano questa carta, e ora ci troviamo nella stessa situazione. Questa in realtà è una politica fondata sulla droga. Finora abbiamo dato il farmaco del denaro a basso costo, ma ora il paziente ha un'altra crisi, e ora dobbiamo somministare una quantità maggiore dello stesso farmaco. Lo capisco, ma non è una misura contro la crisi che si sta effettivamente verificando, né in campo medico né per salvare l'economia reale, ma si tratta piuttosto di salvare i portafogli detenuti dalle banche. Anche questo è importante, ma è un aspetto marginale rispetto a quanto sta effettivamente accadendo altrove. 

Zagatta: Ma lei dice che comunque è giusto. Altrimenti ci sarebbe la rottura della zona euro.

Sinn: Chi lo dice?

Zagatta: Glielo chiedo io! Altrimenti paesi come la Grecia e l'Italia non potrebbero sopravvivere finanziariamente a questa crisi.

Sinn: Sì, ora si stanno aiutando prima di tutto le banche che hanno i titoli di stato italiani e greci nei loro bilanci. Questo è il fatto principale. E queste sono le banche del nord, anche in Germania, ma soprattutto in Francia. I francesi hanno investito molto nei titoli di stato italiani. Puoi aiutarli sostenendo il corso dei prezzi di questi titoli. Altrimenti ci sarebbero delle svalutazioni e delle perdite e quindi una o l'altra banca potrebbero fallire. Questa è la ragione di fondo.

In secondo luogo, si stanno aiutando anche gli italiani, perché possono emettere nuovi titoli di Stato a dei tassi di interesse leggermente più bassi. Ma questo è davvero secondario. Gli italiani hanno certamente bisogno di sostegno. Ho anche suggerito che la Germania, ad esempio, mettesse unilateralmente sul piatto, non attraverso l'UE, un regalo da 20 miliardi di euro per l'Italia per mostrare loro la nostra solidarietà. Ma sono preoccupato da questi automatismi, che stanno gradualmente ridistribuendo enormi quantità di denaro attraverso la BCE, che in pratica non è autorizzata a fare quello che sta facendo. Avremo fra qualche settimana la sentenza della Corte costituzionale tedesca su questi programmi di acquisto e vorrei sapere se ciò che è contenuto nella sentenza è compatibile, o viceversa, ciò che viene fatto è compatibile con la sentenza.

Zagatta: Ma lei dice, diamo agli italiani 20 miliardi di euro. La Grecia sicuramente avrebbe delle richieste o dei desideri corrispondenti e seguirebbero un certo numero di altri paesi. Ci sarebbe una grande rivolta in Germania. Lo considererebbe ancora ragionevole?

Sinn: Sì. Guardi, abbiamo due opzioni. Consentiamo i trasferimenti nascosti tramite l'eurosistema, che inizialmente non compaiono nella contabilità, ma che rappresentano altrettante perdite. Pensi all'enorme debito Target contratto dagli italiani - per 400 miliardi di euro, dei quali, se l'Italia non dovesse pagare, un terzo sarebbero a carico della Germania. Succede così lentamente. La stampa non lo capisce, non ne parla. Si tratta di somme in una dimensione completamente diversa. Credo che si debbano mettere sul tavolo 20 miliardi di euro in maniera aperta e onesta e dire: questa è la nostra solidarietà. Dobbiamo anche aiutare gli italiani. Gli italiani si trovano in una situazione davvero difficile. Sono fortemente colpiti perché lì il virus è arrivato prima che altrove a causa degli intensi contatti che hanno con la Cina. Si tratta di contatti commerciali, turistici, ma anche i 300.000 Gastarbeiter provenienti dalla Cina che lavorano in Italia, che sono tornati dopo il capodanno cinese e che hanno portato il virus. L'Italia è davvero in difficoltà. Dobbiamo aiutare i nostri amici italiani, ma apertamente e onestamente e non far finta che lo stia facendo l'UE, ma se lo facciamo, sono i nostri soldi e la nostra libera scelta.

Zagatta: e pensa che potrebbe essere trasmesso alla popolazione tedesca?

Sinn: Sì, penso che si possa facilmente trasmettere alla popolazione tedesca.

Zagatta: All'inizio lei ha detto che queste sono tutte misure per contenere il debito o per mantenere in vita gli stati nelle attuali condizioni.

Sinn: no! Servono per mantenere in vita le banche che hanno i titoli di stato nei loro bilanci. (...)

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domenica 22 dicembre 2019

H. W. Sinn - Perché i saldi Target stanno scendendo

Dalle colonne della FAZ, il professore H. W. Sinn prosegue la sua battaglia sulla natura dei saldi Target e questa volta risponde a chi nei giorni scorsi, dopo una inattesa riduzione dei saldi tedeschi, aveva subito ipotizzato una normalizzazione della situazione sui mercati finanziari europei. Dalla FAZ.net, il professore Hans Werner Sinn


Dopo anni di saldi Target in crescita, nell'ottobre 2019 c'è stato un primo calo dei saldi che a molti è sembrata quasi un'inversione di tendenza. Il solo saldo Target della Bundesbank, che nel mese precedente era stato di 915 miliardi di euro, è sceso di 78 miliardi arrivando a 837 miliardi di euro. A novembre questo crollo è stato parzialmente compensato da un nuovo aumento fino a 871 miliardi di euro, ma resta comunque un calo considerevole.

Alcuni commentatori hanno individuato in questa svolta un segno della normalizzazione della situazione sui mercati finanziari. È stato "un duro colpo per tutti i critici della moneta unica e per i profeti della crisi dell'euro", si poteva leggere su Internet, e parole simili erano riportate anche nelle cronache dei giornali. Questa valutazione è errata, se non completamente sbagliata.

Lo è perché implicitamente equipara il rischio di un crash con l'esistenza stessa dei saldi Target. In realtà il sistema Target protegge l'economia da un'improvvisa fuga degli investitori privati ​​e aiuta a evitare il crollo del sistema. I crediti pubblici all'interno dell'eurosistema, misurati dai saldi target, in caso di emergenza sostituiscono i prestiti dei privati ​​ed evitano in questo modo  dei possibili fallimenti.




Il problema con i saldi target in realtà non è il rischio di un crash, ma il rischio di credito implicito per la Germania. I beni, le azioni, le società, i beni immobili e i titoli di debito che sono diventati di proprietà estera o che sono stati estinti in cambio dei crediti target della Bundesbank sono ormai andati, resta solo da vedere se il corrispettivo equivalente verrà mai rimborsato. Il rischio di credito non riguarda solo l'eventuale uscita di un paese dalla zona euro, ma ciò che  spesso viene trascurato, è che quando uno stato fallisce, fallisce anche il sistema bancario locale.

A ciò si aggiunge il fatto che i crediti target minano la democrazia, rendono la Germania ricattabile, hanno effetti redistribuivi significativi e rallentano la crescita economica. In primo luogo, senza chiedere il loro consenso e senza la partecipazione dei loro parlamenti, i cittadini vengono resi  responsabili per i rischi di credito. Se l'Eurosistema fosse stato costruito sulla base dei sistemi di pagamento privati, consentiti dal Trattato di Maastricht, i rischi sarebbero stati spostati sugli investitori privati. In secondo luogo i rischi Target rappresentano una potenziale minaccia da parte dei paesi debitori, grazie ai quali possono forzare un'unione di trasferimento e l'introduzione di una garanzia congiunta sui depositi bancari. In terzo luogo, la copertura assicurativa gratuita garantita dai contribuenti riduce il premio al rischio con il quale i paesi con un indebitamento eccessivo possono indebitarsi. Ciò provoca ulteriore debito aggiuntivo e priva i paesi esportatori di capitali di una parte dei loro proventi derivanti dagli investimenti all'estero. In quarto luogo, i saldi Target non proteggono solo le banche, le aziende e gli stati sani da una possibile irrazionalità dei mercati, ma consentono anche agli stati in difficoltà e alle aziende zombie che non possono più far fronte ai debiti di astenersi dal fare le riforme necessarie per il proprio risanamento.

È perciò errato ipotizzare che il calo dei saldi Target indichi una "normalizzazione" della situazione sui mercati finanziari. In realtà il calo è il risultato dell'introduzione degli interessi negativi sui depositi bancari introdotti da parte delle rispettive banche centrali nazionali. E ciò non deriva dalla crescente fiducia del mercato, ma da una mossa draconiana da parte del Consiglio direttivo della BCE per indirizzare i capitali privati nei paesi della zona euro colpiti dalla crisi.

Con la decisione del consiglio direttivo del settembre 2019, il tasso di interesse negativo sui depositi delle banche è stato fissato allo 0,5% e allo stesso tempo è stata introdotta una soglia molto alta al di sotto della quale non si applicano gli interessi per l'eccesso di liquidità delle banche (superiori al requisito di riserva), pari a sei volte il requisito minimo di riserva. L'importo di questa soglia corrisponde a circa la metà della liquidità in eccesso complessiva all'interno dell'Eurosistema, vale a dire circa 900 miliardi di euro.

Se la liquidità in eccesso fosse stata distribuita uniformemente in tutti i paesi, gli interessi negativi non avrebbero avuto alcun effetto sui saldi Target. Tuttavia non è stato così. Piuttosto, l'estrema disparità nella distribuzione della liquidità all'interno della zona euro, misurata e resa possibile anche dai saldi target, ha creato tra le banche europee delle transazioni di arbitraggio reciprocamente vantaggiose che hanno ridotto nuovamente questi saldi. A causa di questa disparità nella distribuzione, si sono resi disponibili nei paesi in crisi dell'area mediterranea dell'eurozona  degli importi significativi inutilizzati di liquidità in eccesso, che potevano essere riempiti con della liquidità aggiuntiva senza dover pagare interessi negativi. Contemporaneamente le banche tedesche detenevano enormi somme di liquidità in eccesso rispetto agli importi di esenzione al di sopra dei quali devono pagare degli interessi negativi. Prestando una parte di tali eccedenze all'Europa meridionale a un tasso di interesse che si trovava da qualche parte tra meno 0,5% e 0, sia le banche tedesche che le banche dell'Europa meridionale sono state in grado di realizzare un profitto: le prime perché hanno dovuto pagare meno interessi negativi, le seconde perché avevano dei prestiti di rifinanziamento che avevano ottenuto dalla loro banca centrale allo 0%, e che erano in grado di rimborsare con prestiti concessi dalle banche tedesche a tassi di interesse negativi. Il prestito di denaro all'Europa meridionale, ottenuto in modo quasi forzoso, ha ridotto i saldi Target tedeschi perché in questo modo si è ridotta la somma dei trasferimenti netti verso la Germania, misurata dal saldo target tedesco. 

Sarà necessario capire fino a che punto si spingeranno le misure finalizzate ad evitare gli interessi negativi. Sicuramente in Germania non porteranno alla completa eliminazione della liquidità in eccesso tramite la soglia priva di interessi negativi, perché in qual caso gli interessi negativi sarebbero dovuti anche al sud. Ad un certo punto l'effetto si esaurirà. Ovviamente, ciò non significa, come si potrebbe pensare, che i saldi target non possano scendere ulteriormente, dato che i profitti della Bundesbank derivanti dagli interessi negativi pagati dalle banche tedesche vengono condivisi all'interno dell'Eurosistema e accreditati alle banche centrali del sud grazie al sistema Target. I crediti Target tedeschi diminuiscono a causa del trasferimento degli interessi negativi sui depositi alle altre banche centrali dell'Eurosistema, e in questo modo scendono anche i debiti Target dei paesi in crisi. Analogamente a quanto accade nel caso di partner privati in un contratto di credito, l'accumulo dei tassi di interesse negativi porta a una riduzione sia dei crediti che delle passività.

La riduzione dei saldi target legata agli interessi negativi ovviamente è solo un effetto di lungo termine, che nel breve periodo non è molto significativo. In futuro i saldi potrebbero anche essere sommersi dall'effetto dei nuovi acquisti di titoli di stato appena decisi dalla BCE. Ma qualunque cosa accada: da un punto di vista economico è difficile interpretare un declino dei saldi, che è stato e sarà causato dai tassi di interesse negativi e dagli sconti sugli interessi negativi, come una qualche forma  di normalizzazione del mercato dei capitali o anche come una pillola calmante per gli investitori e i contribuenti tedeschi.



domenica 10 marzo 2019

H. W. Sinn: perché la Germania non è il vero euro-vincitore

H. W. Sinn su Handelsblatt mette in discussione il risultato del famoso studio del CEP di Friburgo secondo il quale la Germania sarebbe il vero vincitore nella guerra dell'euro. Per il professore il discorso è un po' piu' complesso e lo studio del CEP sarebbe piu' che altro il tentativo di portare acqua al mulino dell'unione di trasferimento. Ne scrive H. W. Sinn su Handelsblatt


La Germania, secondo uno studio condotto da Matthias Kulla e Alessandro Gasparotti del Centro per la politica europea (CEP), sarebbe il grande euro-vincitore. Dal 1999 al 2017 l'euro avrebbe garantito alla Germania un profitto cumulato di poco meno di 1,9 trilioni di euro rispetto a un gruppo di controllo di paesi che dal 1980 al 1996 avrebbero goduto di una crescita economica simile. E' opportuno avere dei dubbi sulla portata di questi risultati.

Per la Germania, come gruppo di controllo, lo studio prende in considerazione paesi come il Bahrein, il Giappone, la Svizzera e il Regno Unito, poiché negli anni fra il 1980 e il 1996 in quei paesi è stata osservata in media una crescita pro-capite simile. Ma questo confronto non può funzionare perché i dati tedeschi a causa della riunificazione, nel bel mezzo di questo periodo, presentano una frattura strutturale.

Il fatto che il nostro paese dopo aver superato i problemi dell'unificazione sia cresciuto più rapidamente del Bahrain non ha nulla a che fare con l'euro. La gamma delle possibili spiegazioni spazia dalle riforme di Schröder, alla crescita dell'outsourcing e dell'innovazione industriale fino al boom delle costruzioni.

Naturalmente anche la svalutazione reale che la Germania ha vissuto all'interno dell'eurozona a causa dell'inflazione negli altri paesi ha permesso al PIL reale di crescere grazie alle esportazioni. Ma questa svalutazione allo stesso tempo ha reso la Germania relativamente più povera. 

Fra i paesi che oggi hanno l'euro, il PIL nominale pro-capite tedesco nel 1996 era il secondo dopo quello del Lussemburgo. Poi nella difficile fase iniziale dell'euro è sceso fino al settimo posto del 2005. Dopo la crisi finanziaria, la Germania ha fatto meglio degli altri paesi e il PIL pro capito tedesco è risalito al sesto posto, dove si trova ancora oggi. I dati di un euro-vincitore dovrebbero essere diversi.

Il problema è che le esportazioni nel calcolo del PIL sono considerate come un indice di prosperità, anche se in realtà lo diventano solo nel momento in cui sarà certo che immediatamente o successivamente potranno essere convertite in importazioni per una somma di pari valore. In effetti le eccedenze commerciali tedesche non sono sempre state investite in maniera ragionevole, e spesso sono state utilizzate per acquistare titoli di debito esteri alquanto problematici. Una parte di questi titoli consisteva in obbligazioni di dubbia utilità, in gran parte di provenienza americana, il cui mancato rimborso ha contribuito al fatto che la Germania abbia dovuto cancellare centinaia di miliardi di euro di crediti esteri dal suo bilancio delle attività nette sull'estero. 

Un'altra parte è rappresentata dai crediti contabili della Bundesbank all'interno del sistema Target, che a fine 2017 superavano i 900 miliardi di euro. Ciò rappresentava circa la metà delle attività estere tedesche residue, dopo le svalutazioni, generate grazie alle eccedenze nell'export.

I crediti Target sono crediti senza scadenza che la Bundesbank non potrà mai esigere e che vengono remunerati al tasso di rifinanziamento principale. E presto potrebbero finire nel fuoco se la Lega in Italia dovesse trasformare in realtà la sua minaccia di voler uscire dalla moneta unica. Ma anche se non dovesse accadere nulla di drammatico, restano privi di valore in quanto il loro tasso di interesse attualmente è pari a zero e probabilmente resterà a zero ancora per molto tempo. Per una società privata un credito senza scadenza, che non genera interessi e il cui tasso di interesse in seguito potrà crescere solo con l'accordo dei debitori, sarebbe un credito senza valore da svalutare completamente.

In questo contesto bisogna notare che la Germania sul suo enorme patrimonio estero netto in generale ha ottenuto solo degli interessi molto bassi. Se la Germania nel periodo che va dal dal 2008 al 2017 su queste attività estere nette avesse ottenuto lo stesso tasso di rendimento che aveva prima della crisi Lehmann, in questi anni ci sarebbero stati 600 miliardi di euro in più disponibili per il consumo di beni stranieri.

Per gli autori dello studio questi aspetti non sono rilevanti, perché il reddito proveniente dagli investimenti esteri non è nemmeno parte del prodotto interno lordo. Gli autori vedono il prodotto interno lordo tedesco come una misura di prosperità, anche se questo viene definito come i redditi dei tedeschi e degli stranieri realizzati in Germania più i deprezzamenti. Se per il loro confronto avessero usato il reddito nazionale, avrebbero potuto individuare le perdite.

Alla luce di questi deficit, lo studio del CEP dovrebbe essere considerato inutilizzabile. Ma sarà utilizzato lo stesso perché è l'acqua che serve al mulino di coloro che ora chiedono una ridistribuzione fiscale nella zona euro, per poter chiedere al presunto euro-profittatore tedesco di passare dalla cassa.


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giovedì 22 novembre 2018

H.W. Sinn: che abbia inizio il prossimo atto della tragedia italiana (parte seconda)

Hans Werner Sinn, anche se ormai da qualche anno è in pensione, non si fa sfuggire l'occasione per commentare dalle colonne della Frankfurter Allgemeine Zeitung la situazione italiana. Per il brillante economista tedesco gli italiani con i loro ricatti cercheranno di spillare quanti piu' soldi possibile ai "partner europei", ma l'ultimo atto di questa tragedia potrebbe essere l'uscita dalla moneta unica. Dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung (si arriva da qui)

Hans Werner Sinn
Hans Werner Sinn

Ci sono solo quattro opzioni per contrastare l'eccessivo aumento dei prezzi in Italia. La prima strada è quella di avviare di nascosto un'unione di trasferimento. In primo luogo si mettono in comune i debiti che poi vengono garantiti congiuntamente. Poi i creditori privati ​​vengono sostituiti da quelli pubblici, e il debito allungato ed eroso dalla riduzione degli interessi. Alla fine i contribuenti degli altri paesi dell'eurozona danno dei soldi ai debitori affinché questi possano ripagare i loro debiti verso gli investitori finanziari, possano continuare ad acquistare i beni dalle imprese esportatrici e, non da ultimo, per impedirgli di lasciare l'euro.



Ciò renderebbe l'Italia intera ciò che già oggi è il Mezzogiorno italiano: un percettore di trasferimenti dal nord, troppo caro, che non diventerà mai competitivo e che dovrà essere costantemente finanziato dall'esterno. I trasferimenti sarebbero sostanzialmente delle tangenti pagate ai gruppi politici per dare loro qualche altro anno di tranquillità. In realtà l'Europa non può permetterselo perché in una competizione globale sempre più difficile dovrà impegnarsi per diventare economicamente sempre più forte, e non più debole. Nella realtà questo percorso è già stato avviato da molto tempo. E il governo francese infatti insiste affinché si proceda creando un'assicurazione comune sui depositi bancari, un'assicurazione congiunta contro la disoccupazione e un bilancio della zona euro. Si parla sempre di presunti "shock asimmetrici" esogeni da cui bisogna proteggersi - come se la crisi nel Sud Europa avesse a che fare con degli eventi casuali, ingestibili e transitori.

La seconda opzione consiste in una riduzione dei prezzi per correggere l'eccesso di inflazione dei primi anni dell'euro. Ciò implica dei tagli ai salari oppure degli incrementi di produttività senza la partecipazione dei dipendenti. E' una forma di chemioterapia per l'economia che potrebbe spingere il paziente verso la disperazione. Affittuari e debitori andrebbero in bancarotta perché i loro obblighi di pagamento resterebbero invariati, mentre i salari diminuiscono. Questa modalità inoltre, non solo richiede un miracolo in termini di produttività, ma anche una visione che i sindacati italiani non hanno ancora mostrato di avere. Durante l'eurocrisi la Grecia è diventata piu' economica rispetto ai suoi concorrenti del 12% e la Spagna dell'8%, l'Italia invece non ha fatto nulla. Dal 2007 il livello dei prezzi dei beni auto-prodotti è cresciuto alla stessa velocità di quello dei suoi concorrenti nell'area dell'euro.

La terza opzione possibile consiste in una lunga fase inflattiva nei paesi dell'Europa settentrionale, in particolare in Germania. L'apprezzamento italiano nei confronti della Germania rispetto al 1995 è stato del 39%. Per compensarlo la Germania dovrebbe avere per 16 anni un'inflazione del 2 % piu' alta di quella italiana. Per gli italiani sarebbe insopportabile, mentre i risparmiatori tedeschi salirebbero sulle barricate.

La quarta via consiste in un'uscita temporanea dell'Italia dall'euro secondo il piano dell'estate 2015, pensato da Wolfgang Schäuble per la Grecia, e all'epoca approvato informalmente dai 15 ministri delle finanze dell'Ecofin. Il problema sarebbe la probabile fuga dei risparmi che l'Italia dovrebbe affrontare con dei controlli sui movimenti di capitale, almeno fino a quando l'uscita non sarà completata. Dal punto di vista italiano questo percorso avrebbe alcuni vantaggi. L'economia grazie alla svalutazione tornerebbe a crescere molto rapidamente mentre i rapporti di credito interni tornerebbero in equilibrio, in quanto sarebbero convertiti in lire e svalutati, e anche una parte del debito estero potrebbe essere convertito e svalutato. Le banche francesi tuttavia verrebbero colpite duramente, dato che sono esposte verso l'Italia circa tre volte e mezzo in più rispetto a quelle tedesche. Dal punto di vista politico questo passo per i principali politici europei equivarrebbe ad ammettere il loro fallimento. E il mercato dei capitali si verrebbe a trovare in una situazione di notevole turbolenza.
Hans Werner Sinn
Hans Werner Sinn



Ovviamente nessuna di queste strade offre una facile soluzione per i problemi italiani; la prima meno di tutte le altre, che invece molto probabilmente sarà quella scelta sotto l'influenza delle lobby della finanza e dell'export. L'Eurozona è finita in un vicolo cieco. Il nuovo governo italiano lo sa molto bene. Esclude categoricamente il secondo percorso (riduzione dei prezzi), e realisticamente nel prossimo futuro non può aspettarsi alcun successo dal terzo percorso (inflazione del Nord). Si concentra pertanto sulla prima opzione (unione di trasferimento) e si tiene la quarta via, l'uscita temporanea dall'euro, in maniera piu' o meno chiara, come una potenziale minaccia da agitare.

ll portavoce della Lega, l'economista finanziario Claudio Borghi, ha dichiarato che il suo partito vorrebbe introdurre una moneta parallela per risolvere i problemi finanziari italiani, i cosiddetti mini-bot. Secondo le sue parole si tratterebbe di titoli di stato di piccole dimensioni, trasferibili, denominati in euro e destinati a circolare come moneta cartacea. Dato che con i mini-bot si potranno pagare le tasse per un importo pari a quello stampato sul titolo, probabilmente sarebbero scambiati solo con un piccolo sconto rispetto agli euro reali. L'Italia spera così di poter estinguere una parte del suo debito nazionale ricorrendo ai mini-bot.



Paolo Savona, il ministro per l'Europa del nuovo governo, si spinge oltre. Nel 2015 aveva già formulato fin nel dettaglio una exit-strategy sotto forma di uscita dalla moneta unica. Il piano di Savona, tuttavia, non sapeva come risolvere il problema della stampa delle banconote fisiche senza che il mercato dei capitali se ne accorgesse.

I mini-bot risolverebbero questo problema. Dal momento che verrebbero introdotti prima dell'uscita, sarebbero già a disposizione se improvvisamente in un fine settimana si dovesse perfezionare la conversione valutaria. Tutti i conti bancari, tutti i contratti di lavoro, quelli di affitto e tutti i contratti interni di credito verrebbero mantenuti, solo che il simbolo dell'euro sarebbe sostituito con il segno della lira. Savona vorrebbe trasformare in lire anche il debito pubblico emesso prima del 2012. Si tratta ancora dei tre quarti di tutti i titoli in circolazione. Ci sarebbero quindi altri tagli al debito in modo da ridurre ulteriormente il peso del debito pubblico. I debiti Target di Banca d'Italia nei confronti dell'Eurosistema verrebbero annullati. Potrebbe anche funzionare visto che dopo l'uscita dall'euro non esiste una base legale per il loro rimborso e anche perché molti politici tedeschi di spicco li hanno definiti come degli "irrilevanti saldi di compensazione". Naturalmente tutto dovrebbe essere tenuto segreto fino all'ultimo secondo al fine di evitare una fuga di capitali.

L'Europa dovrà dare all'Italia ancora molto denaro per scongiurare che tutto ciò accada. In ogni caso, che abbia inizio il prossimo atto della tragedia italiana.


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La tragedia italiana secondo Hans Werner Sinn

Hans Werner Sinn, anche se ormai da qualche anno in pensione, non si fa sfuggire l'occasione per commentare sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung la situazione italiana. Per il brillante economista tedesco gli italiani con i loro ricatti cercheranno di spillare quanti piu' soldi possibili ai "partner europei", ma l'ultimo atto di questa tragedia sarà l'uscita dalla moneta unica. Dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung (prima parte)

Hans Werner Sinn
Hans Werner Sinn

Si può discutere dell'attuale disputa fra UE e Italia in chiave moraleggiante e condannare i presunti eccessi italiani. Questo conflitto tuttavia può anche essere interpretato come il risultato di azioni sconsiderate di messa in comune che hanno causato dei gravi danni all'integrazione europea.

Il debito pubblico italiano è da sempre elevato e nelle banche italiane sonnecchiano da tempo delle enormi riserve di crediti deteriorati. La Commissione europea già da molti anni avrebbe dovuto regolare le banche in maniera più' severa e limitare i titoli del debito pubblico, ma non lo ha fatto. Che ora improvvisamente si agiti per un rapporto deficit/pil del 2,4 % è dovuto piu' che altro al fatto che i nuovi partiti euro-scettici in Italia si sono profilati come i concorrenti del vecchio establishment politico. E ora si vuole fare del paese un esempio per educare tutti gli altri. Dopo il rifiuto da parte del governo italiano di ridurre il deficit di bilancio, la Commissione europea potrebbe imporre delle multe pesanti. L'Italia tuttavia non sembra avere alcuna intenzione di pagare per queste sanzioni e cerca invece lo scontro aperto. Non viene piu' nemmeno invocata una soluzione amichevole. Il governo italiano è stato eletto per adottare misure radicali. E dalla popolazione italiana sarà valutato in base alla capacità di essere all'altezza di queste aspettative.

La storia dell'Italia nell'euro è una storia di crediti e garanzie pubbliche, di garanzie messe in comune e di sovvenzioni attraverso le quali il paese è stato tenuto a galla. Tutti questi aiuti hanno agito come farmaci che calmavano i mercati finanziari e la popolazione. Ma non hanno contribuito a risolvere i problemi strutturali del paese. Hanno invece distrutto la competitività dell'Italia e aumentato la dipendenza del paese dal debito.

Già nei primi anni '90 lo stato italiano si è trovato vicino alla bancarotta. Il debito pubblico si attestava infatti al 120% del PIL e l'Italia doveva pagare più del 12% di interessi sui titoli di stato decennali. L'onere per gli interessi era insopportabile, il collasso dello stato sembrava inevitabile. Si faceva nuovo debito per pagare i vecchi debiti e anche una parte degli interessi. L'euro è stato quindi introdotto per ridurre l'onere sugli interessi. I tassi di interesse italiani infatti in previsione dell'introduzione dell'euro in quegli anni diminuivano di circa cinque punti percentuali, avvicinandosi al livello tedesco. Senza dare troppa importanza alla clausola di no-bailout del Trattato di Maastricht, gli investitori erano convinti che i paesi della zona euro sarebbero stati comunque protetti contro una bancarotta dello stato. Si presumeva che l'Italia avrebbe potuto stampare da sé il denaro per estinguere i propri debiti o che gli altri paesi avrebbero aiutato direttamente l'Italia, cosa che poi è accaduta realmente in seguito.

Per lo stato italiano l'euro è stato almeno inizialmente una benedizione. La valuta comune ha fatto risparmiare così tanti interessi che con quei soldi l'Italia avrebbe potuto tranquillamente eliminare l'IVA. Se l'Italia avesse usato i bassi tassi di interesse risparmiati per rimborsare i propri debiti, il rapporto debito/PIL oggi sarebbe ben al di sotto del 60%. Ma l'Italia ha agito diversamente. Lo stato non solo ha speso tutto il taglio dei tassi d'interesse, ma ha sfruttato anche l'opportunità per fare altro debito. Il doppio incremento della spesa pubblica ha generato una domanda aggregata che ha fatto aumentare i prezzi italiani più velocemente rispetto a quanto accadeva nel resto dell'area dell'euro. Dal 1995, anno in cui si è deciso di introdurre l'euro, fino allo scoppio della crisi Lehman di dieci anni fa, l'Italia, compreso un apprezzamento iniziale della lira, è diventata del 40 % più cara rispetto alla Germania, usando come indice i prezzi dei beni auto-prodotti, rilevante nelle questioni relative alla competitività. Nessun paese può sopravvivere a un simile "apprezzamento reale" senza subire dei danni.

L'apprezzamento è stato sostenibile fino a quando il mercato dei capitali è stato disponibile a finanziare il crescente deficit di conto corrente italiano. Ma quando il mercato dei capitali dopo la bancarotta di Lehman ha smesso di farlo, i tempi apparentemente buoni sono finiti, e l'Italia è crollata. La perdita di competitività è emersa senza pietà. La disoccupazione è salita a circa il 12% e la disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli superiori al 40%. Al netto, dopo aver dedotto le nuove società, un quarto delle imprese attive nell'industria manifatturiera è fallita. E' comprensibile che i nervi degli italiani oggi siano scoperti e non ne vogliano sapere piu' nulla dell'UE: solo il 43% vuole rimanere ancora nell'UE, meno che in qualsiasi altro paese.

Anche negli altri paesi dell'Europa meridionale l'euro non ha funzionato molto bene. Come mostra la tabella qui sotto, nell'ultimo decennio, nessun paese dell'Europa meridionale è riuscito a riportare la produzione industriale al livello raggiunto all'inizio della crisi finanziaria. Mentre i paesi di lingua tedesca hanno superato la crisi rapidamente e ora sono del 9 % (Germania) e del 18 % (Austria) al di sopra del livello pre-crisi, l'Italia ha perso il 17 %. La Francia, i cui mercati di sbocco si trovano nel sud e le cui banche hanno prestato molto denaro in quei paesi, ha registrato un calo del 9% rispetto ai livelli pre-crisi.


Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, come riferito dall'ex direttore della BCE Lorenzo Bini Smaghi, già durante la recessione del 2011 aveva condotto dei negoziati segreti per far uscire l'Italia dalla zona euro. Lo stesso aveva fatto all'epoca il primo ministro greco Papandreou, come da lui confermato nel 2016 a margine della Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera. Entrambi volevano far tornare competitivi i loro paesi tramite una svalutazione. Ma sono stati costretti dalle banche e dalle presunte forze dell'UE ad abbandonare i loro incarichi prima che potessero realizzare i loro progetti. Entrambi si sono dimessi nella stessa settimana alla fine del 2011. In Grecia, poi è andato al potere un governo di sinistra. In Italia i presidenti del consiglio Monti, Letta, Renzi e Gentiloni hanno provato a fare le riforme, ma hanno ottenuto poco o nulla - comunque niente che abbia potuto far voltare pagina all'industria italiana.

La politica europea durante la crisi non si è fondata sulle riforme strutturali dell'Eurosistema, ma sui salvataggi finanziari. Con tali salvataggi, infatti, sono state salvate in primo luogo le banche e gli investitori francesi, tedeschi e degli altri paesi. I salvataggi sono iniziati con gli scoperti di conto sui saldi Target, che Banca d'Italia ha approvato come se si trattasse di un'azione di auto-aiuto. Poi è arrivato il "Securities Markets Program" della BCE, che a partire dall'estate del 2011 ha costretto le banche centrali del nord ad acquistare titoli di Stato italiani. Poiché  per i mercati questo non sembrava essere abbastanza, nel 2012 è arrivata la promessa da parte del presidente della BCE Mario Draghi („Whatever it takes“), promessa che ha trasformato implicitamente i titoli di stato dell'eurozona in eurobond e ha spostato sui contribuenti europei il peso delle garanzie senza chiedere la loro opinione. Il fondo di salvataggio permanente ESM ha completato la promessa di protezione. Nel 2015 poi è arrivato il programma di "quantitative easing" della BCE, all'interno del quale sono stati acquistati titoli di Stato dei paesi euro per un valore di 2.100 miliardi di euro, dei quali il 17 per cento è attribuibile al riacquisto di titoli di stato italiani da parte di Banca d'Italia. Questa azione ha catapultato il saldo target di Banca d'Italia al valore di 490 miliardi di euro.

Tutti questi programmi hanno fatto in modo che gli investitori francesi e del nord Europa non perdessero i loro soldi rendendo la vita nel Sud appena sopportabile, ma allo stesso tempo hanno anche danneggiato l'industria italiana, in quanto hanno reso possibili dei salari troppo elevati in rapporto alla produttività, salari cresciuti durante la bolla pre-Lehman. Chi ritiene che il nuovo surplus delle partite correnti italiano possa dimostrare che il paese ha superato la fase piu' difficile trascura il fatto che questo surplus è dovuto quasi esclusivamente al crollo delle importazioni causato dalla crisi e dalla riduzione dei tassi di interesse sul debito estero.

La bugia sul "tempo per fare le riforme" che si sarebbe potuto comprare con gli aiuti finanziari si è rivelato per quello che era fin dall'inizio: un trucco di pubbliche relazioni pensato da politici con una visione di breve periodo che avevano come obiettivo quello di rinviare le dolorose ma necessarie riforme dell'eurosistema. Il fallimento dei programmi di aiuto mostra molto chiaramente il fallimento dell'idea secondo la quale la politica europea avrebbe potuto generare più disciplina in materia di debito rispetto ai mercati. Gli investitori privati ​​possono frenare la corsa all'indebitamento quando questo diventa eccessivo. Possono bloccare il flusso di credito o chiedere tassi di interesse così elevati che i debitori perdono l'appetito.

Questo è il principio di fondo dell'economia di mercato e dei sistemi federalisti che funzionano allo stesso modo. Basti pensare ai problemi finanziari dei singoli stati degli Stati Uniti, che iniziano già con un indebitamento al 10 % del PIL, oppure alla disciplina richiesta dal mercato dei capitali ai cantoni svizzeri. La BCE e la comunità internazionale hanno indebolito questo principio, abbassando gli spread dei paesi altamente indebitati con i vari sistemi di messa in comune delle garanzie, sistema avviato con l'euro stesso, nella speranza che poi si sarebbe riusciti a tenere sotto controllo gli stati membri con dei mezzi legali. L'ingenuità di questa convinzione si è inesorabilmente rivelata nella nuova crisi italiana.


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