Visualizzazione post con etichetta Rheinische Post. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Rheinische Post. Mostra tutti i post

mercoledì 9 agosto 2017

7.6 milioni di mini-job: un lavoratore dipendente su 5 è un minijobber

Il governo risponde ad una interrogazione parlamentare della Linke sul tema dei mini-job e fornisce dati sorprendenti: dopo una lieve flessione nel 2015, i mini-job sono tornati a crescere e i mini-jobber sono ormai pari al 23% di tutti i lavoratori dipendenti con assicurazione sociale, sempre di piu' le donne e gli anziani. Impressionante il numero di mini-jobber ultra 65enni, piu' di un milione. Dalla Rheinische Post.


Nonostante l'introduzione del salario minimo per legge nel gennaio 2015, il numero dei mini-jobber in Germania è tornato a crescere. Nel dicembre 2016 era del 2.2% piu' alto rispetto al marzo 2015. Circa 7.63 milioni di persone alla fine dello scorso anno avevano un "rapporto di lavoro minore" (mini-job). Vale a dire il 23% di tutti i lavoratori dipendenti (con assicurazione sociale). Il dato emerge da una risposta del governo federale ad una richiesta del gruppo parlamentare della Linke.

I mini-job sono esentasse fino al limite previsto dalla legge di 450 € al mese. Per questa ragione per molti lavoratori restano un'opportunità attraente. Per circa un terzo dei mini-jobber si tratta di un secondo lavoro. I lavoratori dipendenti che hanno solo un mini-job - e quindi senza altri lavori che prevedano il pagamento dei contributi sociali - sono circa 4.8 milioni. Molti, ma non tutti, lo fanno per integrare la pensione o magari per pagarsi gli studi - oppure si tratta ad esempio di casalinghe che vogliono migliorare il reddito familiare.


Chi è inquadrato secondo un "rapporto di lavoro minore" non è necessariamente coperto dal mini-job per quanto riguarda la cassa malattia e la previdenza sociale (non è prevista l'assicurazione contro la disoccupazione). Dal 2013 il mini-job prevede il versamento dei contributi pensionistici, ma su domanda del lavoratore è possibile richiedere l'esenzione dall'obbligo assicurativo, opzione a cui molti dipendenti fanno ricorso. Per il datore di lavoro è previsto il pagamento di un contributo forfettario tra il 25 e il 30% della retribuzione lorda per l'assicurazione pensionistica, la cassa malattia e le imposte sul reddito.

Molti mini-jobber sono donne e hanno piu' di 60 anni

Le critiche nei confronti dei numeri raggiunti dai mini-job, oltre 7 milioni, sono sempre piu' forti: sarebbero uno strumento per comprimere i salari nonché una delle principali cause di povertà in vecchiaia, visto che i contributi versati daranno diritto ad una pensione estremamente bassa.

Secondo i dati forniti dal governo, oltre 3 milioni di mini-jobber, quasi il 60%, nel 2016 erano donne. Per molte di loro, a causa dei contributi pensionistici troppo bassi, la povertà in vecchiaia è già un problema estremamente attuale.

Il 22% dei mini-jobber nel 2016 aveva piu' di 60 anni. La percentuale di anziani con un'occupazione minore è cresciuta del 48% rispetto al livello di dieci anni fa. Anche il numero dei mini-jobber in età pensionabile con oltre 65 anni è cresciuto del 35% rispetto al 2006, e oggi sono piu' di un milione.

Secondo il documento del governo, i mini-jobber lavorano in media 11.8 ore per settimana. Il loro salario medio nel 2014 era di 9.4 € lordi l'ora. Nell'ovest un mini-jobber guadagnava in media 9.58 € l'ora, nell'est solo 7.86 € l'ora. La retribuzione media di un mini-jobber era del 55% inferiore rispetto alla retribuzione lorda media complessiva di tutti i dipendenti, pari a 16.57 € lordi l'ora. Dai dati forniti dal governo emerge che con l'introduzione del salario minimo di 8.5 € lordi l'ora, all'inizio del 2015, il numero dei mini-job è sceso di 93.000 unità. Nei mesi successivi tuttavia sono tornati a crescere fino alla fine del 2016.

"E' una trappola soprattutto per le donne"

Secondo i dati del governo la maggior parte dei mini-jobber lo scorso anno lavorava nella vendita al dettaglio. 895.000 mini-jobber lavoravano nel commercio, seguivano la gastronomia con 780.000 occupati, la pulizia degli edifici (circa 600.000) e la sanità (433.000). I lavoratori senza una qualifica fra i mini-jobber sono il 21.5% e sono quindi sovrarappresentati rispetto al totale degli occupati. Sorprendentemente alte sono le attività da aiutante generico con una quota del 45 % sul totale, sempre secondo i dati del governo.

"I mini-job sono una forma di occupazione precaria, a bassa retribuzione e portano dritti ad una mini-pensione. Sono una trappola soprattutto per le donne", scrive Jutta Krellmann della Linke. 4.3 milioni di mini-jobber, secondo i dati del governo, avrebbero almeno una qualifica professionale. E' un indizio del fatto che per queste persone probabilmente sarebbe possibile trovare qualcosa di meglio rispetto ad una semplice attività da aiutante. "E' davvero uno scandalo se oltre un milione di persone con piu' di 65 anni ha bisogno di un mini-job per assicurarsi il sostentamento", ha dichiarato sempre la Krellmann. I mini-job non stanno creando nuovo lavoro, lo stanno solo redistribuendo fra piu' lavoratori.


domenica 23 aprile 2017

2 notizie interessanti dalla Germania

Due notizie molto interessanti uscite questa settimana sulla stampa tedesca: il Ministro dell'Economia Brigitte Zypries (SPD) in un'intervista dichiara candidamente che il governo tedesco non si considera responsabile per il surplus delle partite correnti e quindi non intende scusarsi con il resto del mondo, dalla Rheinische Post.

"L'economia tedesca è competitiva e forte. Nessuno deve scusarsi per il fatto che le nostre attrezzature e i nostri macchinari si vendono bene all'estero", ha dichiarato il Ministro Zypires alla Rheinische Post. E' stata la risposta del ministro alle critiche, fra le altre, del presidente del FMI Christine Lagarde, in riferimento al surplus delle partite correnti tedesco.

"I principali fattori che influenzano l'avanzo delle partite correnti tedesco sono ad esempio il prezzo del petrolio oppure il corso dell'Euro. Fattori che non possono essere influenzati o controllati dal governo", ha sottolineato Zypres. "Con l'introduzione del salario minimo, la riduzione delle imposte sul reddito e il rafforzamento degli investimenti, abbiamo già fatto abbastanza per stimolare la domanda interna", ha detto il Ministro. Lagarde ha tuttavia "ragione quanto chiede ulteriori sforzi per maggiori investimenti in Germania, ad esempio nelle infrastrutture digitali oppure nel supporto alla ricerca. Anche io la penso cosi'", ha detto Zypries.

Nonostante i continui attacchi alla BCE, il Ministro Schäuble negli ultimi 8 anni avrebbe risparmiato 145,7 miliardi di Euro in spesa per interessi rispetto ai budget di spesa precedentemente formulati dal governo. Da Handelsblatt Global


Grazie ai bassi tassi di interesse, il governo tedesco ha risparmiato 145,7 miliardi di Euro in spesa per interessi rispetto alle previsioni di bilancio. Questo è quanto emerge da una risposta del Ministero delle Finanze ad una interrogazione dei Verdi, di cui Handelsblatt è in possesso.

Nei suoi budget dal 2008 al 2016, il Ministero delle Finanze aveva calcolato una spesa per interessi pari a 416.2 miliardi di Euro, il governo tuttavia alla fine del periodo ha speso solo 270,5 miliardi di Euro. I risparmi sono stati particolarmente significativi lo scorso anno: nella sua relazione finanziaria del 2012, il Ministero aveva stimato per l'intero 2016 una spesa per interessi pari a 41.2 miliardi di €. "Al termine dell'anno finanziario sono stati registrati 17,5 miliardi di Euro di spesa per interessi per l'intero anno", ha dichiarato il Ministro. Il  Ministro Schäuble, solo nel 2016, avrebbe risparmiato 23.7 miliardi di Euro rispetto al piano originario.

lunedì 12 novembre 2012

Weidmann tifa Euro


Jens Weidmann, il banchiere piu' amato dai tedeschi, torna a farsi intervistare dalla Rheinische Post ribadendo la sua fede nella cultura della stabilità targata Bundesbank.
Il presidente della Bundesbank Jens Weidmann intervistato dalla nostra redazione parla del pericolo di inflazione e delle azioni di aiuto per la vacillante Grecia.

RP: Lunedì i Ministri delle Finanze si riuniranno per decidere sugli aiuti alla Grecia. Gli aiuti devono essere erogati anche se il paese è economicamente al collasso?

Weidmann: La politica ha già deciso pubblicamente di continuare con gli aiuti  alla Grecia. Ma il denaro dovrà essere erogato solo se la Troika confermerà che il paese nel lungo periodo potrà sostenere il suo indebitamento e applicherà le riforme concordate. E questa conferma ancora non c'è.

RP: Molti esperti non vedono nessuna luce alla fine del tunnel.

Weidmann: Bisogna decidere: è una mancanza di volontà riformatrice o sono invece le influenze esterne a rendere la situazione in Grecia peggiore di quanto atteso? E' chiaro: gli aiuti hanno un senso solo se la Grecia farà quanto richiesto. Questo è un segnale importante non solo per la Grecia, ma anche per gli altri paesi in crisi. E' necessario mantenere la pressione sulle riforme, altrimenti non si faranno progressi e l'Eurozona diventerà una Transferunion. Allora la stabilità dell'unione monetaria sarebbe davvero in pericolo.

RP: La decisione della Troika sarà indipendente, anche se i leader politici si sono già espressi in maniera cosi' chiara?

Weidmann: Questo di fatto è un problema. Come si può valutare serenamente il raggiungimento degli obiettivi, se le conseguenze di un giudizio negativo spaventano così tanto? Sono tuttavia fiducioso: la Troika giudicherà la situazione onestamente, prima di approvare i pagamenti.

RP: I greci in 3 anni hanno già vissuto diversi tagli alle pensioni, il governo tedesco dovrebbe fidarsi...

Weidmann: E' vero, nel frattempo sono state approvate misure che fino a poco tempo fa non erano nemmeno presentabili. Capisco quanto sia difficile per le persone colpite. Ma la Grecia non poteva evitare tagli profondi. E senza gli abbondanti aiuti, i tagli sarebbero stati anche molto piu' duri.

RP: Le banche private e le assicurazioni hanno già rinunciato ad una parte dei crediti verso Atene. Sarebbe giusto, se ora anche i creditori pubblici accettassero un taglio del debito?

Weidmann: Gli stati e le banche centrali dell'Eurosistema  sono diventati creditori della Grecia durante la crisi - ma non prima della crisi ed in seguito ad una valutazione del rendimento, come avevano fatto invece banche e assicurazioni: il confronto in questo modo zoppica. In ogni caso: le banche centrali non possono rinunciare ai crediti verso la Grecia, questo sarebbe un trasferimento diretto e quindi un finanziamento degli stati, proibito dai trattati.

RP: E' vero che la BCE è il principale creditore della Grecia?

Weidmann: L'Eurosistema - vale a dire la BCE e le banche centrali nazionali - ha acquistato in maniera significativa titoli di stato greci, e in questo modo è diventato uno dei creditori piu' importanti. Cio' non ha risolto i problemi della Grecia. Al contrario ora abbiamo una discussione sulla partecipazione dell'Eurosistema a un taglio del debito. Tutto questo conferma le preoccupazioni che la Bundesbank ha avuto fin dall'inizio.

RP: Non sarebbe Più corretto, se fossero gli stati a rinunciare ai loro crediti?

Weidmann: Un taglio del debito da solo non risolve il problema. Che aiuto può dare un taglio del debito di Atene, se il paese fra 10 anni si troverà di nuovo al solito punto di oggi? La Grecia deve essere riformata radicalmente, per tornare ad essere piu' competitiva ed avere finanze sostenibili nel lungo periodo. Solo così un taglio del debito potrà essere di qualche aiuto.

RP: La Grecia fra 10 anni sarà ancora nell'Euro? E soprattutto fra 10 anni ci sarà ancora l'Euro?

Weidmann: L'Euro ci sarà ancora fra 10 anni, di questo sono sicuro. E' evidente che c'è la volontà politica di mantenere l'Euroarea integra. Questo avrà pero' anche delle conseguenze. Affinché l'unione monetaria resti una comunità stabile, le regole del gioco dovranno essere modificate e sui singoli paesi dovranno esserci maggiori controlli economici e finanziari. Il Fiskalpakt è un primo passo in questa direzione.

RP: Il presidente della BCE Mario Draghi è pronto a tutto pur di salvare l'Euro. Anche lei?

Weidmann: Tutti nel consiglio BCE ci battiamo per il successo di lungo periodo dell'Euro come moneta stabile. Insieme lottiamo per trovare la strada giusta: come possiamo dare il nostro contributo alla soluzione della crisi nell'ambito del nostro mandato, difendendo il valore del denaro? In seno al consiglio BCE siamo tutti d'accordo sul fatto che le nostre misure possano solo comprare tempo per i paesi in crisi. Le cause della crisi le può risolvere solamente la politica.

RP: Nel consiglio BCE lei è stato il solo a votare contro l'acquisto illimitato di obbligazioni dei paesi in crisi.

Weidmann: Vedo con crescente preoccupazione il fatto che l'Eurosistema si sia spinto sempre piu' nel campo della politica di bilancio. Ma per fare questo non siamo legittimati democraticamente. Inoltre cio' elimina la pressione sui governi, e rallenta lo zelo riformatore. Sicuramente nel nuovo piano di acquisto di titoli è stata indicata una forte condizionalità, ma la sua forza vincolante deve essere ancora dimostrata. In sostanza, la politica monetaria non deve finire nella scia della politica fiscale. L'esperienza ci insegna, che l'indipendenza della banca centrale è decisiva per mantenere il valore di una moneta stabile.

RP: Si dice che lei abbia preso in considerazione le dimissioni...

Weidmann: Non ho minacciato le dimissioni. Quando ho assunto l'incarico, sapevo che cosa mi attendeva. Che cosa avrebbero aggiunto le mie dimissioni? Un successore, che come me sostiene la cultura della stabilità Bundesbank, che ora si troverebbe nella stessa situazione e che risponderebbe alla sua domanda sulle voci di dimissioni.

RP: Si sente abbandonato dal suo ex capo, la cancelliera?

Weidmann: No, non è la mia impressione. Gli interessi e i compiti dei governi  e delle banche centrali non sono sempre gli stessi. Come banchieri centrali dobbiamo avere sempre la nostra bussola e non possiamo affidarci all'aiuto della politica.

RP: La CDU e la FDP chiedono che la Germania non abbia un solo voto nel consiglio a 23 della BCE, piuttosto un peso pari alla sua partecipazione del 27%. Una proposta sensata?

Weidmann: L'idea dietro la regola, un paese un voto, è che i membri del consiglio BCE non perseguano interessi nazionali, piuttosto agiscano a livello europeo e applichino una politica monetaria priva di rischi. Quanto piu' con il progredire della crisi abbiamo indebolito il secondo punto, e distribuito rischi sui contribuenti nazionali, tanto piu' la richiesta arriva con forza dall'opinione pubblica. La risposta corretta non è quella di modificare i diritti di voto, ma di tornare ad una politica monetaria piu' coerente.

RP: Molti temono che la BCE diventi sempre piu' italiana e che la crisi alla lunga sia pagata con l'inflazione. Lei vede questo pericolo?

Weidmann: Italiano, tedesco - questo dibattito ci porta nella direzione sbagliata. E' importante che i problemi siano risolti nei singoli paesi e che l'unione monetaria nel complesso diventi un'area stabile, affinché la politica monetaria si possa di nuovo concentrare sulle sue responsabilità primarie.

RP: I cittadini possono avere paura dell'inflazione?

Weidmann: Nell'immediato non c'è alcuna preoccupazione per un'inflazione piu' alta. Molti paesi europei sono in recessione, e anche l'economia mondiale non cresce piu con forza. Cio' smorza l'aumento dei prezzi. Per la Germania, la Bundesbank si aspetta un'inflazione non superiore al 2%. Nel lungo periodo dobbiamo pero' essere estremamente vigili. Tecnicamente il consiglio BCE è nella condizione in ogni momento, di ridimensionare la politica monetaria espansiva. Ma per fare questo abbiamo bisogno anche della forza politica.