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giovedì 21 maggio 2020

Perché Merkel è dovuta andare incontro alle richieste di Macron

Eric Bonse è un corrispondente indipendente da Bruxelles, sempre ben informato sui retroscena europei e mai troppo allineato con il conformismo tipico della grande stampa tedesca. Dalle colonne di Cicero ci spiega perché Merkel dopo una lunga esitazione e molti tatticismi è dovuta andare incontro alle richieste di Macron e degli europei del sud.  Eric Bonse da Cicero.de

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Le immagini video sembrano arrivare da un'altra epoca. Dal palazzo dell'Eliseo a Parigi arriva il volto di un radioso capo di stato francese abbronzato che ondeggia davanti a una cancelliera di buon umore. Emmanuel Macron e Angela Merkel sembrano essersi vestiti a festa per questo giorno importante. Il giorno che segna la rinascita dell'UE dopo la crisi del coronavirus, ma anche la rinascita del tandem franco-tedesco.

Merkel e Macron avevano già concordato in precedenza che 500 miliardi di euro sarebbero dovuti confluire nella ricostruzione economica del dopo-crisi. Gli aiuti dell'UE sarebbero dovuti andare ai paesi in crisi dell'Europa meridionale, sia come sovvenzioni permanenti che come prestiti rimborsabili. La Commissione europea da Bruxelles dovrebbe garantirne il finanziamento tramite obbligazioni emesse "a nome dell'UE" sui mercati finanziari.

Rottura della diga o passaggio storico?

Cosa è successo? È davvero "un passo storico per la Francia e la Germania e anche un passo storico per l'intera Unione europea", come celebrato dal Ministro delle finanze francese Bruno Le Maire? Oppure è una "rottura della diga che capovolge l'intero quadro giuridico attualmente in vigore", come teme il capo-gruppo parlamentare di AfD al Bundestag, Alice Weidel?

Innanzitutto è una vera sorpresa. Perché Macron e Merkel da molto tempo non si mostravano cosi' uniti. Sei settimane fa, infatti, durante una videoconferenza in un vertice UE fallito, si erano scontrati violentemente. La Cancelliera si era schierata con gli europei del nord, a sostegno di una rigida disciplina di bilancio, rifiutando categoricamente ogni indebitamento dell'UE.

La Cancelliera ha esitato a lungo

Macron, dall'altra parte, insieme a Italia, Spagna e altri sei paesi dell'UE, chiedeva un „Recovery Fund“ finanziato a debito. Poiché non vi era stato un accordo, la decisione controversa era stata rinviata e la Commissione europea era stata incaricata di sondare un compromesso e di elaborare un piano in grado di raggiungere un consenso. Anche il presidente della Commissione Ursula von der Leyen aveva avuto delle difficoltà: chiedeva di produrre risultati entro pochi giorni.

E ora invece arriva questo accordo. Il primo colpo non è arrivato da Bruxelles, ma da Berlino e Parigi. E ha poco a che fare con i ferrei principi degli europei del nord, ma si avvicina piuttosto ai desideri degli europei del sud. Almeno a prima vista. A un esame più attento, però, le cose sono un po' diverse. Sia Macron che Merkel hanno dovuto fare qualche spostamento. E dopo una lunga esitazione, Merkel ha dovuto abbandonare quelle posizioni che nel frattempo erano diventate insostenibili.

Eccezione e responsabilità proporzionale

Secondo il compromesso franco-tedesco, in futuro ci saranno dei debiti dell'UE, ma solo una volta, e solo per questa situazione eccezionale legata al coronavirus. Merkel apparentemente si augura che non diventi un precedente. La Cancelliera è stata anche in grado di garantire l'esclusione di ogni responsabilità solidale. La Germania e gli altri paesi dell'UE dovrebbero essere responsabili solo per quella (limitata) quota versata nel bilancio dell'UE a titolo di garanzia.

Sarà comunque costoso, perché i debiti dovrebbero essere rimborsati a rate da tutti i paesi dell'UE e non dai destinatari degli aiuti, come chiedono gli europei del Nord. La Germania pertanto per anni dovrà pagare dei contributi più elevati all'UE. Ciò sarà tuttavia parzialmente compensato dal congelamento del futuro bilancio europeo a poco più dell'1% del PIL. Macron qui ha dovuto ingoiare un rospo, chiedeva infatti molto di più.

Il capo di stato francese inoltre ha dovuto accettare che gli aiuti dell'UE in futuro siano collegati a delle riforme. Nel documento tedesco-francese si parla di "resilienza, convergenza e competitività". Questa è una vecchia richiesta della Cancelliera, e risale ai tempi dell'eurocrisi. Anche allora Merkel voleva costringere i paesi in crisi a fare dei tagli con dei "contratti di riforma" - e ora è tornata a fare questa richiesta proprio durante la crisi da coronavirus.

Perché la Commissione Europea non ha prodotto risultati?

A monitorare l'attuazione delle riforme dovrebbe essere la Commissione europea. Le autorità di Bruxelles, infatti, aspettavano da tempo un'opportunità del genere per poter attuare le loro raccomandazioni di politica economica liberista. Finora non erano mai riusciti a farlo durante il "semestre europeo", perché la maggior parte dei paesi ignorava il parere dell'UE. Ora saranno in grado di imporle: anche Parigi da sempre è contraria ai requisiti di riforma richiesti da Bruxelles. Si sono mossi tutti, Merkel come Macron.

Ma perché Merkel è andata incontro ai francesi? Non avrebbe potuto portare avanti le sue idee insieme alla collega di partito von der Leyen? A questa domanda probabilmente non si potrà mai dare una risposta definitiva. Le discussioni che contano a Bruxelles vengono tenute dietro le quinte; persino gli insider non saprebbero dire perché von der Leyen non abbia prodotto dei risultati più rapidamente.

Tedeschi vincitori della crisi 

Ciò che è chiaro, tuttavia, è che Merkel ha esitato con dei tatticismi fino a quando non è stata lei stessa a finire sotto pressione. Da quando la Corte costituzionale federale si è pronunciata in merito agli acquisti di obbligazioni da parte della Banca centrale europea (BCE), la Germania si trova sul banco degli imputati. Von der Leyen minaccia persino di avviare una procedura di infrazione contro la Germania in quanto i giudici di Karlsruhe ritengono di essere al di sopra del diritto dell'UE e della Corte di giustizia europea del Lussemburgo. E questo ha danneggiato anche la posizione di Merkel nell'UE.

La posizione tedesca nel corso della crisi da coronavirus inoltre era diventata insostenibile. All'inizio della pandemia, infatti, Merkel poteva ancora sostenere che la Germania fosse stata colpita quanto gli altri paesi dell'UE e respingere le richieste dell'Europa meridionale. Ora che l'ondata del coronavirus si sta attenuando, questo argomento non funziona più. La Germania è il grande vincitore di questa vicenda - non solo nella lotta contro l'epidemia, ma anche nell'affrontare le conseguenze economiche e sociali della crisi.

Nuovo piano finanziario in estate

Se sei il vincitore, tuttavia, devi anche essere più generoso, soprattutto se vuoi continuare a beneficiare dell'UE e del suo redditizio mercato interno. Merkel lo ha riconosciuto e ha abbandonato le posizioni dell'Europa del nord diventate ormai insostenibili. Si è avvicinata a Macron e agli Europei del sud, ma non piu' di quanto fosse necessario - e ora spera di riuscire a portare dalla sua parte anche gli altri europei del nord.

Ma questo potrebbe essere più difficile del previsto. Il Cancelliere austriaco Sebastian Kurz, il primo ministro olandese Mark Rutte e gli altri oppositori dell'indebitamento dell'UE erano al corrente dei piani di Merkel. Berlino ha sempre mantenuto stretti contatti con i "quattro frugalisti". Ma la loro resistenza sembra essere più dura del previsto. Kurz ha persino annunciato una proposta alternativa.

E questo piano minaccia la riedizione di quell'aspra disputa che ha causato il fallimento del primo vertice sul bilancio europeo di febbraio. Ma Merkel nella manica ha ancora una carta vincente. L'ultima parola sul nuovo piano finanziario dovrebbe essere pronunciata fra qualche settimana, proprio sotto la presidenza tedesca dell'UE. Sarà quindi Merkel ad avere la pistola in mano. Con il suo accordo con Macron, si è assicurata una posizione in prima fila e in autunno potrebbe sgomberare il tavolo.

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domenica 19 aprile 2020

La lotta tra Francia e Germania per il potere nell'UE

"Loro sono per l'Europa quando si tratta di esportare le merci che fabbricano. Loro sono per l'Europa quando si tratta di procurarsi manodopera a basso costo. Ma non sono per l'Europa quando si tratta di condividere i debiti. Non è possibile". Non sono le parole di un blogger sovranaro qualsiasi, ma quelle usate dal presidente francese nell'intervista al FT di venerdì per descrivere l'atteggiamento dei tedeschi in Europa. La lotta per il primato nell'UE del dopo pandemia è iniziata. Ne scrive Lost in Europe


Fra Berlino e Parigi è scoppiata una dura lotta di potere per dettare il futuro dell'UE. Fondamentalmente la controversia dovrebbe riguardare la battaglia per la solidarietà finanziaria e i "corona-bonds". In verità, si tratta di più, di molto di più.

Al giorno d'oggi bisogna leggere i giornali per avere il polso di quello che succede nell'UE. Ai tempi del corona-virus e delle videoconferenze, la politica europea si fa con le interviste, sempre che si continui a farla. Il presidente del Consiglio dell'UE Michel ha rilasciato a tal proposito un' intervista alla FAZ. L'introduzione dei cosiddetti corona-bonds non è piu' in programma. "Ci sono sensibilità diverse all'interno del Consiglio", ha detto Michel alla "FAZ".

In questo modo il belga ha mostrato una strana concezione del suo ufficio. Come presidente del Consiglio non dovrebbe andare in cerca delle "sensibilità", ma piuttosto guidare l'organo più importante dell'UE. Dovrebbe fare in modo che la struttura continui a funzionare, non correre dietro ad essa.

Come si fa ad accendere l'UE, tuttavia, è un arte che nessuno conosce meglio del presidente francese Macron. "Ora è il momento della verità, in cui si tratta di stabilire se l'Unione Europea è un progetto politico o solo un mercato", ha detto al "FT".

A differenza di Michel, Macron ancora una volta si è pronunciato in favore di trasferimenti finanziari e di nuovi prestiti. E allo stesso tempo, si è espresso energicamente contro la cancelliera Merkel e contro la politica europea dei tedeschi e degli olandesi, ha detto infatti in un'intervista al FT:

"Loro sono per l'Europa quando si tratta di esportare le merci che fabbricano. Loro sono per l'Europa quando si tratta di procurarsi manodopera a basso costo", ha detto Macron. “Ma non sono per l'Europa quando si tratta di condividere i debiti. Non è possibile"

Macron in passato si era già espresso con toni simili. Ma questa volta, nel bel mezzo della peggiore crisi economica degli ultimi cento anni (secono l'ex presidente Von Rompuy), le sue parole sembrano quasi minacciose.

Macron ha anche messo in guarda dai danni ingenti al mercato interno causati dalle misure di sostegno nazionali - anche in questo caso si riferiva alla Germania. Dopo questa crisi non potrà esserci un semplice "proseguiamo così".

La ragione di fondo apparentemente è la preoccupazione che la Germania e la sua economia possano emergere ancora più forti dalla pandemia, mentre la Francia ancora piu' indebolita. Il mercato interno allora diventerebbe solo un mercato tedesco, e l'UE sarebbe sicuramente una "Europa tedesca".

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lunedì 10 febbraio 2020

Profonde divergenze franco-tedesche

Dopo il no di Macron alla condivisione dell'atomica francese con i tedeschi, le divergenze fra Berlino e Parigi sono sempre piu' evidenti, anche la stampa tedesca che conta suggerisce a Berlino di non fidarsi troppo del presidente Macron. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy


Contro l'egemonia tedesca

Il presidente francese Emmanuel Macron - in risposta a Berlino che stava sistematicamente rallentando tutte le sue iniziative sull'UE presentate nel corso del suo ben noto discorso alla Sorbona del settembre 2017 - ha iniziato ad opporsi apertamente al dominio tedesco, in particolare nel campo della politica militare dell'UE. Il primo passo è stato l'annullamento di un'apparizione congiunta con la Cancelliera Angela Merkel alla conferenza sulla sicurezza di Monaco dello scorso anno; Berlino, infatti, aveva programmato l'apparizione per dimostrare una unanimità - in realtà inesistente -  tra i leader dell'UE in materia di politica mondiale. Se l'annullamento riguardava una misura simbolica del governo federale, a colpire gravemente la Repubblica federale è stato invece un altro passaggio: Parigi a febbraio 2019 ha ritirato il suo appoggio al gasdotto Nord Stream 2, dopo tale ritiro solo con grande difficoltà Berlino è riuscita ad evitare il fallimento del suo progetto. Ad aprile poi, il governo di Parigi si è rifiutato di avviare colloqui formali su un accordo di libero scambio dell'UE con gli Stati Uniti. I negoziati essenzialmente dovevano servire a prevenire le tariffe punitive statunitensi sulle importazioni di veicoli; erano quindi nell'interesse dell'industria tedesca. Le case automobilistiche francesi, tuttavia, esportano poco negli Stati Uniti.

Nuovi scontri

Sempre ad aprile poi, Macron ha pubblicamente annunciato nuovi "scontri" con la Germania - dando seguito al suo annuncio con i fatti. Cosi' a maggio ha ufficialmente annunciato di non essere d'accordo sull'allora candidato tedesco per la successione al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, Manfred Weber (CSU). [2] In estate la Francia ha ostacolato l'accordo di libero scambio dell'UE con la confederazione sudamericana Mercosur, accordo appena concluso dopo venti anni di negoziati, chiedendone dei miglioramenti; l'accordo nell'UE è particolarmente importante per l'industria dell'export tedesca. In autunno Parigi ha bloccato l'inizio dei colloqui di adesione all'UE con la Macedonia settentrionale e l'Albania, ancora una volta contro la volontà espressa da Berlino. Solo un po 'più tardi Macron in occasione di un viaggio a Pechino ha cercato di unificare la politica UE-Cina: sotto la sua guida però, non quella tedesca [4]. A ciò sono seguiti ulteriori passi per ottenere un ruolo di primo piano nella politica estera e militare dell'UE: prima i negoziati con la Russia per migliorare le relazioni reciproche e, in questi giorni, i colloqui a Varsavia per ottenere il supporto della Polonia nei confronti delle iniziative di politica estera di Parigi.

"In declino, e debole in politica estera"

A Berlino l'attivismo di Macron si scontra sempre di piu' con un certo rifiuto. Un contributo sintomatico di questo clima è l'articolo pubblicato nel primo fine settimana di febbraio da Jacques Schuster, principale commentatore del gruppo "Welt", articolo che a Parigi ha ottenuto una certa attenzione e una risposta chiaramente infastidita. La Francia, recita  il testo dell'articolo, si trova in una fase "di declino" sin dagli anni '90. Mostra "crescenti tensioni sociali" e "debolezza in politica estera". Macron sta attualmente cercando di "dare al continente, sotto la guida francese, la posizione che merita"; poiché la Francia è "sempre meno in grado" di farlo, il presidente cerca di ricorrere "all'aiuto dei tedeschi". Ovviamente "senza fare concessioni": "Parigi non è né disposta a condividere il suo seggio permanente nel Consiglio di sicurezza con Berlino, né Berlino può sperare di avere voce in capitolo sull'uso dei missili nucleari francesi". "Anche i sostenitori del presidente criticano la corte reale che Macron ha creato a Parigi", scrive Schuster: "Vari circoli di amici, consulenti e rappresentanti di interessi stanno cercando di influenzare le decisioni del sovrano". [5] Ouest-France, il quotidiano francese a maggiore diffusione, ha classificato l'articolo, pubblicato con il titolo "La Germania non dovrebbe fidarsi di Macron", come la prova evidente di un ulteriore "irrigidimento" nelle relazioni franco-tedesche. [6]

"Sotto il comando dell'UE"

Nel frattempo, in Germania, influenti esperti di politica estera la scorsa settimana hanno lanciato un nuovo attacco nei confronti di Macron. All'inizio della settimana, Johann Wadephul, vicepresidente del gruppo parlamentare della CDU/CSU, responsabile per la politica estera e militare, ha rilanciato una richiesta tedesca, proposta con regolarità per anni, e cioè: l'accesso di Berlino alle armi nucleari francesi. È "nell'interesse tedesco poter influenzare la strategia nucleare che ci protegge", ha affermato Wadephul; la Francia dovrebbe quindi "mettere le sue forze nucleari" sotto un comando congiunto dell'UE o della NATO [7]. Se così fosse, Berlino avrebbe davvero accesso alle armi nucleari. Wadephul alla fine ha precisato, che Macron il quale "ci aveva chiesto piu' volte di osare piu' Europa, ora dovrebbe mostrare di essere anche lui pronto".

Dialogo strategico

Il presidente francese venerdì in un discorso davanti ai laureati dell'École de Guerre parigina ha respinto la richiesta tedesca. Macron non ha lasciato alcun dubbio sul fatto che la Francia non intende condividere le sue forze nucleari, che il Presidente resta il solo a decidere cosa fare e che il suo governo non è disposto a coinvolgere altri paesi nel finanziamento della "Force de frappe", in modo da fornire a terzi una qualche influenza sulle armi nucleari francesi [8]. Macron, ha tuttavia affermato di desiderare un serio "dialogo strategico sul ruolo della dissuasione nucleare nella nostra sicurezza comune" all'interno dell'UE. La Francia è pronta a prendere in considerazione gli interessi in materia di sicurezza dei suoi alleati all'interno di una strategia sulle armi nucleari: la sua indipendenza nell'ambito di una possibile decisione sull'uso delle armi nucleari francesi è "pienamente compatibile con la nostra incrollabile solidarietà con i nostri partner europei". Oltre al "dialogo" sulla strategia da intraprendere in materia di armi nucleari, gli altri paesi membri in qualsiasi momento potranno "partecipare alle esercitazioni delle forze armate francesi in ambito nucleare". Poiché questa offerta resta al di sotto della soglia dell'influenza, per Berlino non è sufficiente.

Alla conferenza sulla sicurezza di Monaco

Macron vuole discutere le sue idee al riguardo durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco, che inizia venerdì. Si tratta anche di dare una  voce forte all'UE nella politica mondiale, indipendentemente dagli Stati Uniti e, se possibile, sotto la guida di Parigi. Il primo punto incontra l'interesse di Berlino, il secondo viene respinto.


[1] S. dazu Vor neuen Konfrontationen.
[2] S. dazu Vor neuen Konfrontationen (II).
[3] S. dazu Kollateralschäden im Führungskampf.
[4] S. dazu Zwischen China und den USA.
[5] Jacques Schuster: Deutschland sollte Macron nicht über den Weg trauen. welt.de 01.02.2020.
[6] La France doit-elle partager son arsenal nucléaire avec l'UE? Oui, selon un proche d’Angela Merkel. ouest-france.fr 03.02.2020.
[7] Hans Monath: "Wir sollten uns an nuklearer Abschreckung beteiligen". tagesspiegel.de 02.02.2020. S. dazu Griff nach der Bombe (III).
[8] Leo Klimm, Paul-Anton Krüger: Macron drängt zum Dialog über atomare Abschreckung. sueddeutsche.de 07.02.2020.


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sabato 4 maggio 2019

Primi colpi di avvertimento da Parigi

E' normale che un paese indebitato, con un enorme disavanzo commerciale e una demografia scoppiettante possa avere interessi diversi da quelli di un paese creditore, con un gigantesco surplus commerciale e una demografia asfittica. Checché ne scrivano i soloni prezzolati di casa nostra, il cosiddetto asse franco-tedesco perde colpi e in Europa si aprono scenari fino a poco tempo fa impensabili. German Foreign Policy prova a mettere in fila i colpi di avvertimento sparati da Parigi.


L'offerta di Macron

Il presidente francese Emmanuel Macron sin dall'inizio del suo mandato si è dato da fare per ottenere da Berlino, in cambio della politica di "austerità à l'allemande" applicata a livello nazionale, delle concessioni in materia di politica europea. Le sue proposte erano state illustrate in maniera esemplare durante il famoso discorso alla Sorbona del settembre 2017. A rivestire un ruolo centrale c'era la richiesta di una riforma dell'eurozona, che Macron avrebbe voluto dotare di un ministro delle finanze e di un proprio bilancio; ciò avrebbe dovuto creare le condizioni per ridurre le disuguaglianze all'interno dell'area valutaria e stabilizzare in maniera tempestiva e duratura i paesi in crisi. Il presidente francese chiedeva inoltre il rapido sviluppo di una forza di intervento, con una particolare attenzione alle operazioni militari nell'area africana di grande interesse per le élite francesi. Per riuscire ad attutire l'impatto delle critiche provenienti dal popolo francese e causate dei tagli, erano indispensabili, non da ultimo, dei notevoli successi in materia di politica estera e militare.

Con le spalle al muro

Appena due anni dopo la sua elezione Macron si è accorto di essere rimasto a mani vuote. Berlino non solo ha bloccato i suoi piani di riforma dell'eurozona, perché contrari al rigido modello dell'austerità tedesca [1]; ha anche iniziato a rallentare i piani del presidente francese per una militarizzazione dell'UE ("Iniziativa d'intervento europeo") e al suo posto ha iniziato a spingere il ​​suo progetto "PESCO" [2]. "PESCO" è un progetto militare di lungo termine e non corrisponde al desiderio francese di avere a disposizione una forza a dispiegamento rapido. Berlino inoltre insiste per una "europeizzazione" del seggio francese al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e delle armi nucleari francesi [3], spingendo in questo modo il governo francese sempre di piu' sulla difensiva. Anche in patria Macron è con le spalle al muro. Le proteste dei "gilets jaunes" vanno avanti da mesi; il tentativo di levare il vento dalle vele della protesta con un dibattito controllato dallo Stato ("grand débat") non sta portando frutti: secondo gli ultimi sondaggi circa il 75 % della popolazione ritiene che il progetto non sia in grado di risolvere la crisi [4]. Già all'inizio dell'anno la percentuale di francesi insoddisfatti dall'amministrazione Macron era salita a tre quarti della popolazione [5]. 

Colpi di avvertimento

E' in questa situazione che Macron ha iniziato la sua manovra difensiva nei confronti dell'egemonia tedesca nell'UE: nonostante la sua politica di "austerità à l'allemande" e la sua lealtà, infatti, Berlino non ha voluto accordargli nemmeno delle piccole concessioni utili a facilitare il suo consolidamento interno. Un primo sorprendente colpo di avvertimento in direzione Germania è arrivato a febbraio con il ritiro dell'appoggio francese al gasdotto Nord Stream 2; il governo federale solo esercitando una grande pressione in seguito è poi riuscito a mantenere aperta una possibile soluzione per il progetto [6]. Un altro affronto, sebbene simbolico, è stata la disdetta da parte di Macron di un'uscita dimostrativa congiunta con la cancelliera Angela Merkel durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco - motivando la scelta con la necessità di dedicarsi urgentemente al desolato stato interno della Francia. A metà aprile Parigi ha anche votato contro l'apertura di negoziati formali per un accordo commerciale con gli Stati Uniti. I negoziati, infatti, sono di particolare interesse per Berlino: Washington, soprattutto a causa dell'eccedenza commerciale tedesca, minaccia di applicare tariffe punitive e dazi sulle auto che colpirebbero duramente l'industria tedesca. Questa volta il voto contrario della Francia, a causa del voto a maggioranza, non ha avuto alcun effetto, ma è stato comunque un segnale molto chiaro.

Le eccedenze commerciali tedesche

La settimana scorsa Macron, durante una conferenza stampa, ha annunciato ulteriori "scontri" con la Repubblica federale, promettendo anche nuovi sforzi per riformare l'Eurozona. [7] Come constatava anche una relazione recente dell'Institut de Relations Internationales et stratégiques (IRIS) di Pargi, si tratta di elementi di importanza fondamentale: la fissazione tedesca sull'export fondata su dei surplus commerciali enormi, viene realizzata "a spese dei paesi partner" e nel lungo periodo non è sostenibile. Nel frattempo, il ministro francese dell'Economia e delle finanze, Bruno Le Maire, a Berlino ha iniziato ad insistere per ottenere dalla parte tedesca un ripensamento in merito alla sua fissazione unilaterale sull'export. Parigi nei prossimi mesi affronterà di nuovo e "in maniera piu' o meno esplicita" la questione del "considerevole surplus commerciale tedesco", si dice all'IRIS: alla fine, questo grava piu' "sui partner europei della Germania" che non sugli Stati Uniti, il cui presidente è riuscito ad imporre nell'agenda internazionale il tema dell'eccesso di export tedesco [8]. Anche nell'UE, la Francia è lungi dall'essere la sola a criticarlo.

"Completamente normale"

Prima della riunione fra Macron e Merkel tenutasi a margine del vertice sui Balcani occidentali di Berlino, il governo federale ha cercato di minimizzare il conflitto. Ci sono solo dei "disaccordi occasionali" tra i due paesi, ha riferito un portavoce del governo; ciò tuttavia sarebbe "normale e necessario". Fino ad ora si è sempre riusciti a trovare una "soluzione" alle controversie. [9] Nella realtà dei fatti però la "soluzione" è sempre stata quella che favoriva gli interessi della Germania. Uno degli esempi più recenti è stato quello della tassa sul digitale che la Francia avrebbe dovuto introdurre a livello nazionale a marzo - ma che Berlino aveva ostinatamente bloccato a livello europeo [10].

Non c'è piu' una minoranza di blocco

I predecessori di Macron, Nicolas Sarkozy e François Hollande, avevano già fallito nel tentativo di limitare gli avanzi commerciali tedeschi e di ottenere una corrispondente riforma della zona euro. Nei loro confronti Macron tuttavia ha un vantaggio significativo: dopo l'uscita della Gran Bretagna dall'UE non ci sarà piu' una minoranza di blocco contro quei paesi che rifiutano i diktat tedeschi in materia di politica dell'austerità. "La Brexit", era scritto recentemente in un commento, "regala ai paesi mediterranei la maggioranza dei voti". [11] Ciò dà agli stati dell'unione economicamente più deboli la speranza di potersi liberare dalla morsa della spietata austerità imposta da Berlino. Di conseguenza Macron ora appoggia una Brexit rapida - e in questo modo ancora una volta finisce per entrare in rotta di collisione con Berlino.
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[1] S. dazu Der Lohn des Chauvinismus und Hegemonie nach deutscher Art.
[2] S. dazu Die Koalition der Kriegswilligen (II).
[3] S. dazu Die nukleare Frage.
[4] Opposés à Macron, les français soutiennent les #giletsjaunes #acte24 #sondage. agoravox.fr 27.04.2019.
[5] Dreiviertel der Franzosen unzufrieden mit Präsident Macron. handelsblatt.com 04.01.2019.
[6] S. dazu Weltpolitik unter Druck.
[7] Catherine Chagitnoux: Macron assume ses désaccords avec l'Allemagne. lesechos.fr 25.04.2019.
[8] Rémi Bourgeot: Le "modèle allemand": de totem à tabou. iris-france.org 26.04.2019.
[9] Macron sucht "fruchtbare Konfrontationen" mit Berlin. Frankfurter Allgemeine Zeitung 27.04.2019.
[10] S. dazu Streit um die Digitalsteuer.
[11] S. dazu Zuckerbrot und Peitsche und Deutsche Hybris.

mercoledì 1 maggio 2019

Berlino isolata dopo la fine del matrimonio franco-tedesco

"Il discorso del presidente Macron del 25 aprile, non solo segna la fine del rapporto speciale fra Francia e Germania. Ma le conseguenze di questa rottura dell'asse europeo vanno ampiamente al di là dell'UE", scrive Uwe Schramm, un importante diplomatico tedesco, su Tichys Einblick. Mentre i pennivendoli di casa nostra ci spiegano che l'Italia in Europa sarebbe isolata ed esclusa dai tavoli che contano, scopriamo che da Parigi arrivano dei segnali molto chiari: il matrimonio franco-tedesco non è finito, ma si avvicina alla fase della separazione in casa. Commento molto interessante di Uwe Schramm su Tichys Einblick.


Alcune cose semplicemente accadono all'improvviso, anche se ad un certo punto te le saresti potute aspettare. E' successo con il discorso del presidente francese Emmanuel Macron di giovedì scorso. L'argomento più importante doveva essere la politica interna francese dopo le proteste dei Gilets Jaunes. Ma poi Macron, con una chiarezza senza precedenti, si è spostato sui crescenti conflitti fra Parigi e Berlino. Ha menzionato gli esempi nella politica energetica e climatica, le differenze in materia di politica commerciale con gli Stati Uniti e nei negoziati sulla Brexit. Avrebbe potuto elencarne di più: come le divergenze in materia di politica finanziaria e sociale nell'UE, nella difesa comune e nell'esportazione di armi. A ciò si aggiungono le delicate questioni interne in materia di politica migratoria dell'UE e la difesa delle frontiere esterne dell'UE.

Anche solo come provocazione, Macron nel suo discorso di Parigi, avrebbe potuto aggiungere altri elementi ancora piu' recenti. Come la richiesta fatta dal nuovo leader della CDU Kramp-Karrenbauer di chiudere la seconda sede del Parlamento europeo a Strasburgo, oppure la polemica inutilmente scatenata dalla parte tedesca sul seggio francese al Consiglio di Sicurezza, che a Berlino, per ovvie ragioni, si pensa debba diventare un seggio comune dell'UE. Dal punto di vista francese, c'è come l'impressione che a Berlino si voglia sminuire il ruolo di Parigi. A Parigi ovviamente la cosa non è stata presa molto bene. Non era andata diversamente in passato, come ad esempio è accaduto con le reazioni evasive arrivate da Berlino in seguito alle ripetute proposte di riforma europea lanciate da Macron.

Macron nel suo discorso ha evitato una escalation delle parole. Ha parlato di "un confronto fruttuoso" e della volontà di scendere a compromessi. Il suo discorso tuttavia conteneva un  messaggio chiaro: basta con il divertimento. Il tempo delle avances di Parigi in materia di politica europea è finito. D'ora in poi ognuno farà ciò che ritiene giusto e ciò che riesce a far rispettare. Non c'è più una corsia preferenziale franco-tedesca. D'ora in poi nell'UE ci sarà una libera scelta del partner con cui mettersi in viaggio.

Fra le righe ciò significa anche che Berlino ha perso il suo partner più importante nell'UE. Non è ancora opposizione aperta, ma si tratterà sempre di piu' di prendere decisioni sulla base degli interessi in ogni singola situazione, caso per caso. E questo accade proprio nel momento peggiore in cui la Gran Bretagna dice addio all'Unione europea, un paese che in materia di politica economica e finanziaria si era mosso quasi sempre insieme a Berlino. Londra mancherà quando si tratterà di decidere sull'appetito finanziario dei paesi del sud. Anche su altri temi, Berlino avrà il vento in faccia, all'interno dell'UE. A est, resta il gruppo di Visegrad con la Polonia, l'Ungheria e gli altri, i quali cercheranno di contrastare i diktat reali o presunti provenienti da Bruxelles o Berlino, mentre da Vienna, se sarà necessario, per questioni di pura utilità, si sceglierà un ruolo da suggeritore. Nel sud la Spagna resta vicina a Berlino, ma al momento ha altre preoccupazioni. Su dei paesi come Italia e Grecia bisogna farsi delle preoccupazioni. Berlino nell'UE nel complesso non è isolata. Ma non ha piu' amici. O piu' precisamente: ci sono dei partner con una diversa vicinanza e rilevanza e con motivazioni, obiettivi e interessi non corrispondenti.

Il discorso del presidente Macron del 25.04.2019, non solo segna la fine dello speciale rapporto franco-tedesco. Ma le conseguenze di questa rottura nell'asse europeo vanno ampiamente al di là dell'UE.

C'è una spiegazione a questa situazione. La geometria della politica estera tedesca può essere descritta con tre cerchi. Tre cerchi che corrispondono agli ambiti più importanti per la sicurezza del paese, e non solo per gli interessi economici. Si potrebbe anche parlare di tre dimensioni della politica estera: l'Europa, l'Atlantico e l'Oriente. Il problema ora è che dopo la correzione di rotta di Macron, nessuno di questi tre cerchi può ancora essere considerato intatto.

La dimensione europea ha il suo centro nell'UE, integrata da vari strumenti formali come il Consiglio d'Europa e un gran numero di meccanismi e istituzioni informali. Ma il centro di questo nucleo era costituito dal tandem franco-tedesco. Se questo asse soffre una perdita di qualità, come sta accadendo ora, ci saranno delle conseguenze per l'intero cerchio europeo della nostra geometria di politica estera. Il cuore continua a battere, ma sta soffrendo.

La seconda dimensione della nostra geometria di politica estera sono le relazioni transatlantiche; prima di tutto con gli Stati Uniti, che per la nostra sicurezza ancora oggi restano essenziali come lo sono sempre stati. Sfortunatamente la nostra politica e la stampa di casa nostra non hanno ancora capito che il presidente Donald Trump è tutt'altro che un imbarazzante incidente di percorso della politica americana. Berlino senza dubbio resta una voce importante nel bilancio della politica estera degli Stati Uniti. In queste circostanze, tuttavia, essere scivolati quasi in fondo alla classifica delle simpatie americane deve essere considerato un notevole svarione. Ciò puo' essere spiegato non solo con gli egoismi rabbiosi della politica americana, ma anche dal comportamento di Berlino e da altre questioni sostanziali come il non rispetto degli impegni tedeschi nel settore della difesa, o dal bigottismo di carattere guglielmino della stampa tedesca, e da certe dichiarazioni pubbliche, anche a livello politico. È così mentre il presidente Macron e sua moglie invitano la coppia Trump per un'elegante cena nel ristorante della Torre Eiffel, alla parte tedesca spesso, in materia di decenza civile, manca l'essenziale. Ciò trova vendetta nel fatto che la dimensione emotiva continua ad influenzare gli aspetti piu' fattuali. Inoltre, ciò non sembra essere d'aiuto anche nell'interpretazione delle dichiarazioni del Presidente degli Stati Uniti sugli impegni dell'Alleanza NATO. 

Nel terzo cerchio della nostra architettura di politica estera, quello della politica orientale, senza peraltro averne molta colpa, ci troviamo di fronte alle macerie della politica di distensione, nella sua formulazione finale, contenuta negli Accordi di Helsinki del 1975, i quali poi dal 1989 avevano reso possibile il processo di riunificazione tedesco. Per molti di noi si tratta di un addio difficile, che non viene accettato ovunque. Il ricordo di Willy Brandt è indimenticabile. Persino l'attuale presidente federale Steinmeier nei suoi anni da Ministro degli Esteri ha cercato di salvare ciò che sembrava possibile, e forse ha  tentato di tornare ai buoni propositi iniziali. Ma era come voler guidare alla massima velocità sull'autostrada orientandosi solo con lo specchietto retrovisore. Il suo successore Heiko Maas invece sembra essere in procinto di  tornare a separare un'altra volta i desideri dalla realtà.

Tornando a Emmanuel Macron e al suo discorso del 25.04.2019: non porterà al divorzio definitivo della coppia franco-tedesca, ma piuttosto ad una vita da separati in casa.

Con questa decisione del presidente francese, Berlino si trova ora in una situazione in cui nessuno dei tre ambiti della geometria della politica estera tedesca resta completamente intatto. La rottura dell'asse franco-tedesco ha colpito la dimensione europea sia nella sua qualità, che nella sua efficacia. Anche il rapporto con Washington sta soffrendo, ma non si può dire quale delle 2 parti abbia la responsabilità maggiore. Sarebbe molto bello, tuttavia, se sul lato tedesco, almeno per un po' si riuscisse a spegnere gli altoparlanti. La terza, vale a dire la dimensione della politica orientale, a causa della condotta russa in Crimea e in Ucraina orientale e di altri spiacevoli inconvenienti, non ha più alcuna valenza pacificatrice, come era accaduto sotto Brandt, Schmidt e Kohl, ma si è trasformata invece in un fattore di rischio, purtroppo con una tendenza crescente.

Se si confronta la situazione attuale con quella della politica estera sotto il cancelliere Helmuth Kohl, quando tutte e tre le dimensioni erano stabili, allora la Repubblica federale  odierna è messa molto peggio. Non c'è ragione per drammatizzare. Ma ci stiamo dirigendo verso una situazione di politica estera che in caso di shock interni o esterni imprevisti  potrebbe diventare problematica.


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giovedì 24 gennaio 2019

Perché l'asse franco-tedesco è un bluff

"Il trattato del 1963 è stato il simbolo di una svolta storica: la fine della "secolare ostilità" fra i due paesi. (...) Il nuovo accordo invece è l'espressione di quello che oggi nelle relazioni franco-tedesche ancora funziona - cioè, molto, molto poco", scrive su Makroskop Peter Wahl, giornalista, scrittore ed attivista tedesco. Per l'autore il nuovo trattato di amicizia franco-tedesco esprime piu' che altro la debolezza francese ed è un compromesso per forza di cose vago fra interessi profondamente divergenti. Ne scrive Peter Wahl su Makroskop.eu


Il 22 gennaio 1963 Charles de Gaulle e Konrad Adenauer firmavano il trattato dell'Eliseo, il simbolo della fine della "secolare ostilità" tra Francia e Germania. Esattamente 55 anni dopo, Merkel e Macron, questo martedì hanno firmato ad Aquisgrana un nuovo trattato di amicizia.

L'idea di un nuovo Trattato dell'Eliseo 2.0 arriva da Emmanuel Macron. Era una delle sue proposte di riforma per la politica europea annunciate nel corso del suo famoso discorso alla Sorbona nel settembre 2017. All'epoca il neo-presidente francese pensava di poter prendere due piccioni con una fava: ridare slancio all'Eurozona e al tempo stesso provare almeno a frenare il declassamento della Francia verso il ruolo di junior partner dei tedeschi, se non addirittura di rendere la Francia great again. Il nuovo trattato di amicizia era stato pensato come un lubrificante aggiuntivo di questo processo.

Macron non è riuscito a rimettere in pista l'Eurozona. Prima di tutto a causa del governo tedesco. Quello che restava dei suoi piani, nel giugno 2018 è stato fissato nella Dichiarazione di Meseberg. [1] Invece di un budget della zona euro per "diversi punti percentuali di PIL" come aveva chiesto, c'è solo l'impegno a lavorare, nell'ambito dei negoziati sul bilancio UE, per una posta speciale di poche decine di miliardi di euro. Invece di un Fondo monetario europeo, viene stabilizzato il fondo anti-crisi ESM. Invece di un ministro delle finanze e di un parlamento dell'Eurozona c'è il vuoto. E anche sull'unione bancaria, che dieci anni dopo il crash non è ancora completata, Berlino continua a frenare.

Poco ambizioso

E proprio per non lasciare Macron completamente a mani vuote, il nuovo trattato di amicizia dovrebbe funzionare piu' che altro come una consolazione. L'accordo non riesce davvero ad impressionare nessuno. Le Monde deluso lo descrive come "poco ambizioso". Accanto alla retorica sull'amicizia europea, i 28 articoli contengono molte dichiarazioni di intenti, ma nulla di concreto.

Un esempio tipico: la politica estera dovrebbe essere coordinata in maniera piu' stretta, anche all'ONU (articolo 8), dove Berlino attualmente ha un seggio non permanente nel Consiglio di sicurezza. La realtà è diversa: Olaf Scholz lo scorso novembre aveva chiesto che la Francia metta a disposizione dell'UE il suo seggio permanente e il diritto di veto associato. A giudicare dalle reazioni acide provenienti da Parigi è diventato subito chiaro che l'amore francese sia per l'UE che per la Germania è così grande che proprio su uno dei pochissimi terreni sui quali Parigi mantiene ancora lo status di grande potenza la Francia non intende indietreggiare di un solo millimetro [2]. Nel trattato resta solo una frase molto diplomatica non vincolante:

"L'ammissione della Repubblica Federale Tedesca al seggio di membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è una priorità della diplomazia franco-tedesca".

E questo stile attraversa l'intero documento. Anche per quanto riguarda la cooperazione militare, dove l'obiettivo principale di Macron è quello di far sostenere ai tedeschi una parte del costo delle operazioni militari francesi nelle ex colonie. Mentre la comunità politico-militare in Germania specula sfacciatamente sulla "compartecipazione al nucleare" dei tedeschi, eventualmente anche alla Force de frappe francese [3]. Gli interessi sul tema sono così divergenti che il contratto resta molto vago.

Anche su argomenti piuttosto innocui, come la promozione delle lezioni scolastiche nell'altra lingua, rivendicazioni e realtà divergono. Anche sotto la presidenza di Hollande, solo con un grande sforzo e con tanto rumore si era riusciti ad evitare una drastica riduzione delle ore di tedesco nelle scuole francesi. Anche i bambini francesi oggi preferiscono imparare l'inglese.

Altri articoli del Trattato confermano quello che già funzionava anche senza il trattato di amicizia, come ad esempio la realizzazione dei progetti per la difesa comune e l'intensificazione della cooperazione militare nel quadro della cosiddetta Cooperazione strutturata permanente  (PESCO) dell'UE (art. 3-5), oppure una piu' stretta cooperazione nell'ambito dello sviluppo dell'economia digitale, dell'intelligenza artificiale e dell'industria digitale (articolo 21).

L'ambizione di portata decisamemente maggiore è quella di sviluppare "una integrazione delle economie verso un'area economica franco-tedesca con regole comuni " (articolo 20). Se l'argomento venisse  affrontato in maniera seria, da un punto di vista politico europeo sarebbe senza dubbio interessante, in quanto equivarrebbe al concetto di „Kerneuropa“. Macron in passato aveva già dichiarato di essere un sostenitore "dell'Europa a due velocità". Una Kerneuropa tuttavia non farebbe altro che approfondire la differenziazione del livello di integrazione rispetto alle quattro o cinque velocità già esistenti adesso, intensificando ulteriormente le tendenze centrifughe in tutta l'UE.

D'altra parte, le differenze strutturali tra il modello tedesco della valuta forte e orientato all'esportazione e il sistema monetario debole orientato verso la domanda interna, tipico della Francia, probabilmente porranno dei limiti abbastanza rigidi al livello di integrazione possibile tra le due economie. Il recente rifiuto da parte del governo federale di seguire la proposta francese e di introdurre una tassa digitale sui giganti Internet parla da solo.

Il bilancio economico di Macron è magro

Anche la promessa fatta da Macron di rilanciare l'economia francese non si è trasformata in realtà. La crescita è scesa dal 2,2% del 2017 all'1,7% del 2018, ampiamente al di sotto della media della zona euro (2,1%). [4] Per il 2019 e il 2020 è prevista all'1,6%, da ottenere principalmente con la domanda interna. Il tasso di disoccupazione a fine 2018 è sceso di poco sotto il 9 %. Anche questa non è stata una pagina gloriosa. Il debito pubblico si attestava al 98,7% del PIL nel 2018 e dovrebbe scendere di poco passando al 97,2% entro il 2020. Il disavanzo delle partite correnti rimane invariato allo 0,6 per cento del PIL. Il "campione del mondo dell'export" ha un surplus del 7,8 % del PIL. La Germania è il principale partner commerciale della Francia, mentre la Francia è al secondo posto tra i partner tedeschi. Quindi, ancora una volta, Macron, che ha iniziato il suo mandato parlando di una presidenza da "padre degli dei", si è invece ridotto a a  dimensioni piu' umane. L'operazione "Make France great again" per il momento è sospesa

I Gilets jaunes

Ma Macron il colpo piu' duro l'ha ricevuto dal movimento dei Gilets jaunes. All'inizio c'è stata molta incertezza nella valutazione delle proteste - anche in una parte della sinistra. Sono letteralmente usciti dal nulla e non sembravano adattarsi allo schema familiare dei movimenti sociali. Né le scienze sociali, né i sindacati, né i partiti di sinistra avevano notato nulla. I protagonisti non erano mai stati politicamente attivi prima. Sostenevano di non essere né di sinistra né di destra e si opponevano ad ogni cooptazione dall'esterno. Sono state respinte le strutture organizzative centrali e la rappresentanza sovraregionale.

Da parte del governo inizialmente è stato avviato un duro scontro. Il Ministro del Bilancio Gérald Darmanin ha parlato di "peste bruna". Ma anche con tutte le peculiarità del movimento ben presto si è capito che le diverse rivendicazioni potevano trovare un punto in comune nel contrasto alle riforme neo-liberiste di Macron."Si tratta in sostanza di una rivolta anti-liberista" [5]. Per questa ragione in poco tempo il movimento ha ottenuto la simpatia di due terzi della popolazione e il sostegno della maggioranza della sinistra francese.

Ciò che i sindacati e la sinistra non erano mai riusciti a fare, dopo solo tre settimane invece è riuscito ai gilet jaunes: Macron è stato costretto a fare concessioni in materia di politica sociale. L'aumento della tassa sul diesel, detonatore del movimento, è stato ritirato e sono state approvvate misure di politica sociale per un volume di 10,3 miliardi di euro.

Nessuno può sapere come il movimento potrà andare avanti. Potrebbe stancarsi e disintegrarsi, ma potrebbe anche arrivare a nuovi estremi, come ad uno sciopero generale. Tuttavia ci sono già degli effetti che vanno ben oltre la politica sociale:

- Merkel è un'anatra zoppa, a Londra c'è il caos, il governo socialdemocratico di minoranza a Madrid non andrà avanti a lungo e l'Italia non scoppia dalla voglia di assumere la leadership politica in Europa, la grande speranza della politica europea di Parigi ormai è tramontata;

- sullo sfondo la Brexit, Trump, il rallentamento dell'attività economica e tutti gli altri problemi irrisolti dell'UE, in questo quadro la sua politica europea e la sua capacità di risolvere i problemi continueranno a diminuire;

- non dovrebbe essere possibile continuare con il programma di riforme à la Hartz-IV di Macron. Se dovesse proseguire il suo corso neoliberale rischia una resistenza ancora più grande di quanto non stia già accadendo ora;

- le tensioni interne nella sua République en Marche sono aumentate bruscamente. Il presidente anche fra le sue fila non è più indiscutibile;

- la Francia probabilmente infrangerà i criteri di Maastricht con il 3,2% di deficit. Senza le coperture potrebbe arrivare al 3,4 %. Prima delle proteste era previsto solo il 2,8%. Quindi nella gestione della crisi dell'euro la posizione di Macron di fronte a Berlino e agli altri intransigenti è praticamente inconsistente;

- nelle elezioni per il Parlamento europeo di maggio Macron rischia una pesante sconfitta. Diversamente da qualsiasi altra elezione, si vota con un sistema elettorale puramente proporzionale, vale a dire che verrà mostrato l'effettivo equilibrio di potere in maniera ragionevolmente realistica. Nei sondaggi, il "salvatore d'Europa" da diversi mesi resta sotto il 20 %. Al vertice c'è Marine Le Pen, che dopo la sconfitta alle elezioni presidenziali, da molti veniva data per politicamente morta. Sebbene il Parlamento europeo in termini di potere politico non sia molto rilevante, le prossime elezioni avranno un alto significato simbolico.

Il trattato del 1963 era il simbolo di una svolta storica: la fine "dell'ostilità secolare" fra i due paesi. Non deve essere glorificato, perché in quel momento a formare il quadro in cui si inseriva il trattato dell'Eliseo c'erano pochi sentimenti nobili attintenti alla sfera delle relazioni interpersonali, come ad esempio la riconciliazione e l'amicizia, ma piuttosto dei duri fatti geopolitici - come la totale disfatta militare della Germania e la guerra fredda. Ma era di importanza storica. Il nuovo accordo invece è l'espressione di quello che oggi ancora funziona nelle relazioni franco-tedesche - cioè, molto, molto poco.


[1] PRESSE- UND INFORMATIONSAMT DER BUNDESREGIERUNG. Erklärung von Meseberg. Das Versprechen Europas für Sicherheit und Wohlstand erneuern. 19.6.2018. https://www.bundesregierung.de/Content/DE/Pressemitteilungen/BPA/2018/06/2018-06-19-erklaerung-meseberg.html
[2] Le Figaro, 30.11.2018; S.8
[3] Major, Claudia (2018): Germany’s Dangerous Nuclear Sleepwalking. Carnegie Europe.
http://carnegieeurope.eu/strategiceurope/?fa=75351&utm_source=rssemail&utm_medium=email&mkt_tok=eyJpIjoiTURFME1EaGxaRFE0Wm1ZeiIsInQiOiIzVm1ZY1g1NXBmUFp2Wm5YejMyYThnZGl3N1REM25VTVhQN2l5dHJQZ2tyZnlva2NuUzVXTUJvMmZLTURtOUZQdGEwXC9MbEsyejd6UTNBZlJQb3BTOERjWUx0RFZTYzJ4Q21HalRJMHhkMENVZDBneW5uM3d6Sjh5elBiNlF2TUwifQ%3D%3D
[4] Alle Zahlen in diesem Absatz nach: Wissenschaftlicher Dienst des Deutschen Bundestages; Referat PE 2 EU-Grundsatzangelegenheiten, Fragen der Wirtschafts- und Währungsunion. Aktuelle wirtschaftliche Lage in Frankreich und Auswirkungen der Protestbewegung „gilets jaunes.” Stand: 11. Januar 2019
[5] Aus der knappen, aber ziemlich treffende Analyse der Bewegung (in deutscher Sprache) unter: https://www.attac.de/fileadmin/user_upload/Kampagnen/Europa/Downloads/Attac_DE-Projektgruppe_Europa_-_Solidarita__t_mit_Gelbwesten_18jan2019.pdf


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sabato 15 dicembre 2018

Der Spiegel: dell'eurobudget di Macron praticamente non è rimasto nulla

Secondo Der Spiegel anche Merkel avrebbe scaricato il giovane presidente francese e i suoi piani per una unione di trasferimento finanziata dai tedeschi. Con il vertice europeo di venerdì, di fatto, il progetto di una "Transferunion" finanziata dal lato nord dell'unione monetaria viene definitivamente sepolto e il finto europeismo di Macron smascherato per quello è: il tentativo di imporre gli interessi francesi a livello europeo. Anche la cosiddetta stampa di qualità tedesca, dopo l'apertura di lunedi' ai gilet jaunes e quindi ad un aumento del deficit, scarica definitivamente l'enfant prodige di Rotschild. Da Der Spiegel


(...) E' certo che il bilancio dell'eurozona troverà un posto nel futuro bilancio dell'UE. Ma è rimasto poco della grande idea di Macron, cioè quella di intervenire con diversi miliardi di euro in soccorso degli stati della zona euro in difficoltà. Certo, lo si puo' vedere come un inizio - e sia Macron che Merkel sono abbastanza intelligenti da rivendere il risultato del summit come un successo.

Macron, con alle spalle uno sfondo blu scuro e il tricolore, elogia le conclusioni del vertice sull'euro come "una svolta decisiva nei piani che la Francia ha presentato un anno fa" e loda la cooperazione con Merkel. "Svolgiamo un ruolo storico, insieme alla Germania, nell'andare avanti". Nella sala accanto Merkel fa lo stesso. Abbiamo trovato un accordo sulle proposte di Macron "in una versione alla quale tutti gli stati dell'Eurozona vi possano partecipare", afferma la Cancelliera. Sia lei che Macron sono "abbastanza soddisfatti di essere riusciti a farlo".

Ma la verità è amara: l'Europa ha lasciato Macron appeso. Da venerdì pomeriggio, la "finestra di opportunità", di cui spesso si è parlato, si è chiusa. Come previsto, al vertice UE, sono stati fatti solo dei piccoli passi in avanti in materia di riforma dell'Eurozona. Ci sarà un ulteriore scudo di emergenza per le banche in difficoltà, e il fondo di salvataggio ESM avrà dei nuovi compiti. Meglio di niente, ma non una ripartenza.

Questo vale soprattutto per il bilancio della zona euro. Nella dichiarazione finale del vertice di Bruxelles, sull'argomento c'è solo un paragrafo secco, che non contiene nemmeno la parola eurobudget. I soldi dovranno essere spesi per rendere i membri della zona euro più competitivi. Non viene affatto menzionata la funzione di stabilizzazione del bilancio, cosi' importante per Macron. L'obiettivo era, ad esempio, in caso di crisi sostenere con dei crediti le assicurazioni contro la disoccupazione degli Stati membri.

I ministri delle finanze ora dovranno presentare delle proposte per la struttura del bilancio. Alla dimensione del piatto, che in origine Macron voleva riempire con diversi punti di PIL dell'UE, i capi di stato e di governo non dedicano nemmeno una parola. Sarà deciso nel contesto dei negoziati sul prossimo bilancio pluriennale dell'UE, si dice. Che saranno completati non prima dell'autunno del 2019. Prima di ciò, entro giugno, sarà necessario trovare un "approccio generale" all'eurobudget.

Che tradotto significa: per ora non succede nulla. Le elezioni europee sono previste per maggio 2019 e poi si dovrà formare una nuova Commissione. È possibile che solo la prossima crisi costringa gli europei ad agire di nuovo.

La Germania esita, l'Austria frena

Tutto era iniziato in maniera così favorevole. Pochi giorni dopo le elezioni presidenziali, Macron nell'autunno 2017 aveva presentato la sua visione per una riforma dell'UE. Le richieste sull'euro rappresentavano solo una piccola parte di questo brainstorming pubblico, ma la più importante. Il presidente francese voleva riformare l'UE Insieme alla Cancelliera tedesca.

Ma la formazione del governo a Berlino si è trascinata a lungo. Quando l'accordo di coalizione con il suo capitolo introduttivo favorevole all'UE è stato finalmente concluso, probabilmente non valeva nemmeno la carta su cui era scritto. Anche se poi a giugno a Meseberg si è riusciti a trovare un accordo per andare avanti insieme sulle riforme. Il ministro delle Finanze federale Olaf Scholz (SPD) per molte notti si è anche sforzato insieme al suo collega francese Bruno Le Maire, di mettere nero su bianco un possibile bilancio della zona euro.

Ma alla fine tutto è rimasto molto incerto, il motore franco-tedesco non si è mai veramente messo in modo. A ciò si aggiunge anche la crescente resistenza da parte di altri stati dell'UE. Da un lato, ci sono gli stati dell'UE, come la Polonia o la Svezia, che non sono fra i 19 membri dell'Eurozona. Non è ben chiaro per quale motivo dovrebbero concordare su un budget che dovrebbe essere ritagliato dal bilancio effettivo dell'UE e dal quale non avrebbero nulla indietro.

Lo stesso Macron minaccia di diventare un peccatore finanziario

Ma ci sono anche massicce critiche dall'Eurozona, specialmente dai Paesi Bassi e dall'Austria. "Non sono un amico del bilancio della zona euro", ha detto il capo di governo di Vienna, Sebastian Kurz, a Bruxelles. L'UE ha già un budget. Un budget separato della zona euro "ai contribuenti finirebbe per costare solo molto denaro in piu'".

Per potersi ulteriormente avvicinare dal punto di vista della politica fiscale, cosi' secondo l'argomento preferito dai critici, bisogna prima ridurre i rischi nell'eurozona. Un primo esempio di ciò sarebbero i piani dei nazionalisti di destra italiani e dei populisti di sinistra per aumentare in maniera massiccia il debito pubblico. Ma proprio Macron ora rischia di atterrare nel club dei peccatori finanziari. I benefici socio-politici che ha promesso ai manifestanti dei "gilet jaunes" potrebbero indurre la Francia a oltrepassare nuovamente la soglia del deficit al 3 per cento.

I primi dubbi sull'immagine dell'europeista modello

Cosi' l'autorità di Macron a Bruxelles subisce un primo duro colpo. Una Francia riformata, che per un lungo periodo di tempo riesce a rispettare le regole del Patto di stabilità e crescita, era stata questa la promessa di Macron agli europei - e in particolare ai partner delle riforme a Berlino. Ma ora si accorgono che: se le cose per lui si mettono male, il presidente francese se ne frega delle regole finanziarie dell'UE.

È probabile che coloro che hanno sempre diffidato di Macron ora si sentano confermati. Come tutti gli altri, anche lui cerca di imporre gli interessi del suo paese, dicevano malignamente i rappresentanti di diversi paesi dell'UE, fra cui la Germania. La facciata del grande europeista è esattamente questa: una facciata.

L'euforia con cui gran parte d'Europa ha celebrato la vittoria elettorale di Macron sulla populista di destra Marine Le Pen è stata già dimenticata. Ma era solo un anno e mezzo fa - e i populisti di destra potrebbero presto contrattaccare. Prima di tutto con Matteo Salvini, il capo della Lega in Italia, un partito radicale di destra. Il quale alle elezioni europee vorrebbe inscenarsi come il grande avversario di Macron.

Puntate precedenti sullo stesso argomento:


Da Meseberg verso l'unione di trasferimento

Perché il bilancio dell'eurozona è un compromesso al ribasso che non serve a nessuno






Merkel ha già scaricato Macron?

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